La vita pubblica di Gesù inizia, in tutti e quattro i vangeli, in stretta connessione con la predicazione di Giovanni Battista.
Tutti i testi sottolineano questo legame e l’evoluzione di questa relazione: inizialmente infatti pare che sia stato Gesù ad avere un ruolo di subalternità rispetto a Giovanni, il quale però gradualmente decresce per lasciar spazio all’emergere di Gesù.
Questo itinerario sembra scontato per noi, così avvezzi alla centralità di Gesù, anche se – in realtà – il percorso storico non deve essere stato così lineare. Anzi, i vangeli stessi mantengono delle tracce di tensione e rivalità fra il gruppo dei discepoli dell’uno e dell’altro.
Evidentemente però i testi del Nuovo Testamento, scritti dai cristiani, cioè da coloro che hanno riconosciuto in Gesù il messia, parteggiano per lui e tendono quindi a rappresentare Giovanni come il precursore e non come un altro profeta o rabbi altrettanto importante.
Probabilmente all’inizio della vicenda pubblica di Gesù, la fama di Giovanni era nettamente superiore: Giovanni aveva un primato temporale (aveva cioè iniziato prima di Gesù a predicare) e aveva radunato intorno a sé un numero significativo di persone. Inoltre è Gesù a recarsi da lui, quindi in qualche modo a cercare in lui un punto di riferimento o perlomeno un confronto. Alcuni studiosi azzardano addirittura che Gesù fosse un membro del gruppo dei discepoli di Giovanni da cui poi si sarebbe staccato.
Il riconoscimento da parte di Giovanni dell’importanza di Gesù e della sua messianicità (così come del suo essere Figlio di Dio, come si legge nel vangelo di oggi) non dovette essere così immediato e indolore come i testi mostrano.
Perché dunque questa insistenza nel porre Giovanni come indicatore di Gesù?
Non va dimenticato che i vangeli sono stati scritti molti anni dopo lo svolgimento dei fatti. Più di trent’anni erano passati tra l’incontro del Battista e Gesù e il momento in cui quell’evento fu narrato. E, come sempre, a distanza di tempo, i fatti si rileggono in maniera diversa: come se noi dovessimo raccontare un periodo della nostra vita vissuto trent’anni fa.
I fatti del passato riletti ad anni di distanza vengono inevitabilmente reinterpretati alla luce di quanto è accaduto in seguito. E, nel seguito delle vite di Gesù e Giovanni, il “distacco” tra i due si era evidenziato: Giovanni, morto per mano di Erode Antipa, aveva pian piano esaurito la sua carica riformatrice, mentre intorno alla morte e risurrezione di Gesù si era fortificato un gruppo di credenti che stava raggiungendo i confini del mondo allora conosciuto.
Ecco perché – a distanza di tempo – i fatti vengono riletti diversamente e in qualche modo “accomodati” allo scopo di rendere lineare quella relazione: Giovanni assumerà sempre più il ruolo del precursore e Gesù emergerà come il messia.
Il testo che leggiamo questa domenica è uno dei più tardivi del Nuovo Testamento, quando ormai questo percorso interpretativo è compiuto. Nelle parole del Battista dobbiamo perciò leggere più che altro la testimonianza della fede delle prime generazioni cristiane che volevano annunciare alcuni tratti fondamentali del figlio di Dio in cui credevano: innanzitutto la sua valenza in relazione al peccato («Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!»), poi il suo legame con Dio («Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui»), fino ad arrivare ad affermarne la figliolanza («E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio»), con forse addirittura un riferimento alla preesistenza («Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me»).
Il vangelo di questa domenica dunque va inteso come l’attestazione della fede delle prime comunità cristiane in Gesù: sarebbe interessante chiedersi se la sintesi che propongono (Gesù agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, Gesù come persona su cui scende e rimane lo Spirito di Dio, Gesù come Figlio di Dio) sia ancora significativa per noi, se la comprendiamo, se la sentiamo nostra, se useremmo altre parole per dire chi è Gesù…