La scelta dei testi evangelici è curiosa.
Settimana scorsa abbiamo concluso l’anno liturgico leggendo le penultime pagine del testo di Matteo, senza però leggerne la fine – la passione, morte e risurrezione di Gesù – che si leggerà a Pasqua. La fine della vita di Gesù (Pasqua) e la fine dell’anno liturgico infatti non coincidono.
Allo stesso modo, oggi, iniziamo un nuovo anno liturgico, preparandoci con l’avvento al Natale (qui l’inizio dell’anno coincide con l’inizio della vita di Gesù), ma non partendo dall’inizio di un vangelo, ma dalla fine. O meglio, dalla penultima parte del vangelo di Marco. Il brano di oggi è infatti quello immediatamente precedente l’inizio del racconto della passione.
Questo crea un po’ una sovrapposizione di temi (attesa della risurrezione, attesa del ritorno alla fine della storia, attesa della celebrazione della sua nascita) che suscita una domanda: Ma Gesù, quando pronunciava le parole che ci riporta Marco verso la fine del suo vangelo, a cosa faceva riferimento?
Indubbiamente è un discorso che vuole attirare l’attenzione su un appuntamento che non si può perdere. La presenza di espressioni quali «Fate attenzione», «vegliate» sta lì a indicarcelo.
Inoltre si tratta di un appuntamento “strano”, cioè un appuntamento non prefissato. Si sa che ci sarà qualcosa che non possiamo perderci, ma non si sa quando avverrà: «non sapete quando è il momento», potrebbe capitare «all’improvviso».
Ma – per tornare alla domanda precedente – di cosa stiamo parlando? In cosa consiste questo appuntamento? Con che cosa o con chi è l’appuntamento?
Questo credo sia un primo punto da indagare.
La collocazione del testo (come detto, appena prima del racconto della passione) fa propendere per l’ipotesi per cui Gesù facesse riferimento alla sua cattura, crocifissione e risurrezione. Quello è l’appuntamento da non perdere per i suoi discepoli. Quello è l’evento per il quale essere svegli, avere gli occhi aperti e la coscienza vigile.
È anche vero però che questo brano fa parte di quel genere letterario che gli studiosi chiamano “escatologico”: si tratta di quei testi che attraverso un linguaggio immaginifico, vogliono parlare della fine (o – come piace dire ai teologi – del fine) della storia: della storia del mondo? della mia storia personale, cioè della mia morte? della morte di Gesù? La molteplicità dei sensi e dei piani rimane.
Ciò che a mio parere conta, però, non è sciogliere questa molteplicità di significati per ridurla a una. Probabilmente questa polisemia è voluta dagli autori stessi di questi testi.
Il punto è – di qualsiasi cosa si parli (morte di Gesù, morte mia, fine della storia) – il suggerimento di mantenere un atteggiamento di allerta. Come se gli evangelisti (Marco in questo caso) ci tenessero a dirci che non si può attraversare questa vita senza stare allerta, senza un occhio sempre vigile su ciò che accade, senza l’attenzione a non perdersi gli appuntamenti importanti della vita, le cose decisive della vita.
Il periodo dell’avvento è il momento in cui si ha l’occasione per ri-sentirselo dire: proprio ora che tutto ci suggerisce l’approssimarsi della memoria della nascita di Gesù, proprio ora che ci mettiamo in “modalità-attesa”, “modalità-preparazione” del Natale, la liturgia ci considera meglio disposti a recepire l’invito a “stare allerta”.
Come la nascita di Gesù è stato un appuntamento decisivo della storia, capitato all’improvviso, così nella nostra vita dobbiamo avere sempre presente che ci sono appuntamenti decisivi, cose decisive da non perdere.