Dopo le solennità che hanno accompagnato la ripresa del tempo ordinario, questa domenica ricomincia la lettura del vangelo di Matteo, e in particolare di quei capitoli che narrano la vita pubblica di Gesù.
Nei mesi scorsi – in particolare nel periodo tra Natale e Quaresima – abbiamo già avuto modo di riflettere sull’avvio della vita pubblica: l’inizio della predicazione (in particolare con il discorso della montagna), la chiamata dei primi discepoli, alcuni miracoli.
Oggi, invece, ripartiamo, con il secondo dei cinque discorsi in cui Matteo ha raccolto gli insegnamenti di Gesù: quello sulla missione.
È un testo piuttosto noto e che – nel suo incipit – pare cadere proprio nel momento giusto dell’anno, quando tutti e tutte ci sentiamo un po’ «stanche e sfinite», non solo perché sta finendo un altro anno sociale, ma anche per tutti gli avvenimenti tristi che stanno capitando nel nostro mondo.
Il problema segnalato da Gesù – già duemila anni fa – è che «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!»: c’è molto da fare, ma pochi/e sono quelli/e che si stanno dando da fare.
Per chi è stato cresciuto in ambienti cattolici, a questa frase (immediatamente e involontariamente) viene attribuito un significato più specifico: “mancano preti” … ma non dobbiamo farci schiacciare in questa lettura riduzionista: in questo mondo, così angustiato da guerre, miserie, solitudini, c’è tanto da fare e c’è bisogno di tutti/e.
Non voglio, però, lasciarmi distrarre da questi rigurgiti polemici che ogni tanto mi prendono, perché preferisco concentrarmi sulla frase conclusiva del brano: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
In questa epoca in cui il merito sembra essere tornato di gran moda (è addirittura cambiato il nome di un ministero), il rischio è quello di essere tentati/e di pensare che ciò che siamo, ciò che abbiamo (sia in senso materiale che non) sia il frutto delle nostre conquiste: e così chi ha molto, non ritiene affatto di essere un privilegiato / una privilegiata; e chi ha poco, vive la frustrazione di essere un fallito / una fallita.
Facciamo fatica a tenere presente che ciò che siamo e ciò che abbiamo prima che frutto dei nostri sforzi, è un dono che abbiamo ricevuto gratis: semplicemente non esisteremmo, se qualcuno/a non ci avesse dato la vita, non si fosse preso/a cura di noi, non ci avesse rivolto la parola…
Siamo il “prodotto” di tante gratuità … e il non ricordarlo è quello che ci fa essere poco grati/e …
Gesù, invece, ci ricorda che il mondo può cambiare e migliorare, se riconosciamo che primariamente siamo dei graziati, cioè persone a cui altri/e hanno fatto (e continuano a fare) grazie, cioè “cose” gratis.
Perché questa consapevolezza può cambiare il mondo?
Perché rammentare la gratuità di cui siamo figli/e non può che risvegliare la consapevolezza che solo la solidarietà tra umani ci tiene in vita e ci consente di vivere vite degne di questo nome.
Da qui l’invito «gratuitamente date», che appare così impopolare oggi, ma che – se ci pensiamo bene – è l’unica via per amare e essere amati/e, per avere ciò che è necessario per vivere, per costruire esistenze che siano davvero umane.
Le frasi del vangelo non andrebbero mai usate come slogan. Quando lo si è fatto, spesso lo scopo era manipolatorio e lontano dal senso stesso cui Gesù aveva dato a quelle stesse espressioni… Non credo, dunque, che nemmeno «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» debba diventare uno slogan …
Ritengo, tuttavia, che possa servire per avviare una riflessione personale su chi siamo e chi possiamo essere.