Il vangelo di questa domenica è uno dei capolavori retorici di Luca.
Il tocco di genio è il passaggio dalla terza persona plurale della domanda rivolta a Gesù («Signore, sono pochi quelli che si salvano?»), alla seconda persona plurale della risposta: «Sforzatevi […] Voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta […] Allora comincerete a dire…», ecc.
Perché questo passaggio è così geniale?
Perché se all’interrogativo che gli veniva posto, Gesù avesse risposto con la terza persona plurale (“Le persone si devono sforzare… quelle rimaste fuori, cominceranno a bussare… allora cominceranno a dire…”, ecc.), il risultato sarebbe stato quello di leggere le sue parole come la descrizione realistica di ciò che sarebbe successo a questi “altri”. Quasi una previsione del futuro su coloro che sentiamo “altri”, non dei nostri, non come noi.
La seconda persona, invece, impedisce questa identificazione: le parole sono rivolte a noi, non ad altri e ciò ci porta a rivalutare anche il loro senso. Sono una previsione sul nostro futuro, da spacciati?
Se i destinatari fossero altri, probabilmente, ci farebbe meno problema: “Che vadano all’inferno!”, quante volte l’abbiamo detto o pensato…
Ma se si parla di noi…
Fermi tutti…
Aspettate un momento…
Abbiamo capito correttamente?
Il fatto di sentirle rivolte a noi stessi, ci porta a soffermarci sulle parole di Gesù, a soppesarle, a cercarne il senso più autentico: non possono essere una descrizione realistica del nostro futuro (sarebbero troppo in contraddizione con tutto ciò che si dice nel resto del vangelo). E poi la nostra vita mica è ancora finita (avremo, almeno, ancora il tempo di riscattarci).
Di ragionamento in ragionamento, si intravvede una strada che prima (soprattutto se le parole fossero state pronunciate verso un “essi” generico) non avevamo contemplato: le parole di Gesù non sono una previsione del futuro, né la descrizione realistica di quello che ci accadrà; bensì, costituiscono uno dei modi che Gesù ha utilizzato per sollecitarci a prendere sul serio la vita che abbiamo tra le mani.
Se provassimo, infatti, a rileggerle in chiave laica (come se non fossimo credenti e colui che parla non fosse colui che riteniamo essere il Figlio di Dio), la sensazione che ci lascerebbe il discorso di Gesù sarebbe quella di avere di fronte uno che ci sta prospettando la possibilità di perdere una grande occasione; di rimanere fuori dai giochi; di guardare da esclusi quello che di bello sta capitando a qualcun altro.
Il punto, però, è che il treno non l’abbiamo ancora perso: l’occasione è ancora qui, da afferrare; i giochi non sono chiusi e quel qualcosa di bello potrebbe riguardare anche noi!
Tutta la strategia retorica di Luca, ci porta a questo: abbiamo la possibilità di “salvarci”, cioè di vivere una vita piena, una vita amata e amante, una vita che costruisce il regno di Dio su questa terra… Vogliamo coglierla o no?