Le letture di questa domenica ci propongono una questione a cui non siamo abituati a pensare: la parola di Dio non mette d’accordo tutti e tutte, non apre uno spazio di irenismo generalizzato.
Anzi, porta ad una divisione tra chi le dà credito e chi non la ritiene affidabile.
Spacca i gruppi, le famiglie, ma anche ognuno/a di noi dentro a se stesso/a.
In un mondo (anche cattolico) che presenta l’essere credenti come l’approdo alla pace interiore (“Beato/a te che hai fede, almeno trovi un po’ di serenità”), è importante avere presente che Gesù, e i profeti prima di lui, portavano un annuncio così dissonante rispetto al pensiero comune, che suscitava perplessità, reazioni dure, violenza.
Chi, leggendo il vangelo, non sente di ribellarsi a quanto vi è lì scritto, probabilmente è perché non sta capendo quello che legge.
La proposta di amare i nemici, quella di scegliere tra Dio e il denaro, quella di perdonare settanta volte sette (e così via) sono così contro natura, da far rivoltare le viscere, ogni volta che proviamo a prenderle sul serio.
Il brano di oggi ce lo ricorda in maniera netta: la vita dei/delle credenti è una lotta; principalmente una lotta interiore, una “lotta spirituale”.
Spesso si è pensato che la “lotta spirituale” fosse contro il diavolo e le sue tentazioni, ma in realtà la lotta è tra quel me stesso/a che vorrebbe dar credito alle parole di Gesù e quel me stesso/a che si ribella al suo messaggio, perché è scarnificante.
Come si diceva un tempo è contemporaneamente fascinosum et tremendum.