Come ogni anno, durante la domenica delle Palme, cioè la domenica che precede la Pasqua, si legge il racconto della passione di Gesù.
Quest’anno (anno C) il testo è tratto dal vangelo di Luca.
La lettura è troppo lunga per essere riportata per intero, ho perciò scelto due passaggi su cui concentrare la mia riflessione: sono quelli che riguardano due Simoni.
Il primo è Simone, ormai chiamato Pietro; il secondo è Simone di Cirene, che compare solo in questa circostanza in tutto il vangelo.
I versetti che li riguardano mi paiono infatti molto adatti per introdurci nell’atmosfera di quelle ore… che assomiglia così tanto all’atmosfera di altre ore, anche odierne, delle nostre vite.
Innanzitutto c’è quel «pianse amaramente» di Pietro, che assomiglia così tanto all’uomo etico di Kierkegaard, che insegue un se stesso ideale che si rivela impossibile da raggiungere… e si dispera.
Credo che sia un’esperienza che abbiamo fatto tutti: non essere all’altezza di quello che avremmo voluto essere.
Istintivamente dissimuliamo il nostro fallimento (il fallimento di ciò che siamo), accampiamo alibi e giustificazioni, facciamo le vittime, cerchiamo colpevoli fuori di noi (gli altri, la storia, il destino), ma poi arriva un momento in cui la realtà ci inchioda alla verità: «In quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro».
La verità fa capolino e ci guarda negli occhi.
Fa molto male, ma è l’unica via per riprendere il contatto con il noi stessi reale e finalmente uscire dalla recita di un noi stessi ideale che, per quanto splendido, semplicemente non esiste.
C’è poi Simone di Cirene, travolto dalla tragedia di qualcun altro, suo malgrado.
Me lo immagino, mentre torna da una giornata di lavoro e viene bloccato dall’autorità, senza che possa opporre resistenza. Costretto a portare una croce non sua, a stare così vicino al dolore di un altro, senza poter fare nulla.
Non sono riportati i suoi pensieri, né le sue parole: chissà se ci sono state parole tra lui e Gesù?
Anche questa è un’esperienza che ci accomuna tutti: presenze mute dentro ai drammi di qualcun altro.
Inchiodati dall’impotenza e impossibilitati a fuggire, come ci verrebbe istintivo fare.
Costretti a stare, ad assistere, a esserci.
Sono tinte molto angosciose quelle cui il racconto della passione di Gesù rimanda e non potrebbe che essere così, dato che si sta raccontando la morte ingiusta di un uomo giusto, come lo definirà il centurione sotto la croce.
È un’atmosfera in cui la liturgia ci chiede di immergerci e rimanere, almeno per un po’, senza dissimulare, senza scappare via.
1 commento
Come sempre, ci siam dentro anche noi, il Vangelo parla a me, di me.
“Io ideale” da raggiungere viene “vinto” dallo sguardo di Gesù nella sua Passione, Lui ci vuol bene così, miseri come siamo, come Pietro…