Domenica delle Palme (commento)

Durante la celebrazione della Domenica delle Palme si legge la passione di Gesù nella versione dell’evangelista dell’anno, che nel 2024-2025 è Luca.

Essendo il testo molto lungo, vorrei soffermarmi su un aspetto peculiare del terzo vangelo.

In un contesto che si fa sempre più tenebroso, violento e meschino, Luca inserisce alcuni squarci di luce, tenerezza e cristallinità che promanano da Gesù stesso o da alcuni personaggi apparentemente marginali.

Ma andiamo con ordine: la narrazione è inaugurata dalla scena dell’ultima cena, nella quale, fin da subito, sono evocati toni drammatici: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio».

A questo annuncio fa seguito la cosiddetta “istituzione dell’eucaristia”, immediatamente dopo la quale Gesù comunica ai suoi che qualcuno dei presenti lo tradirà. Ciò suscita la domanda su «chi di loro avrebbe fatto questo», ma presto la discussione cambia argomento e si concentra su «chi di loro fosse da considerare più grande».

Le tenebre e la meschinità iniziano, quindi, a delinearsi già nel cenacolo, ma presto arriva anche la violenza: dopo il dialogo con Pietro circa il suo prossimo rinnegamento e l’evocazione da parte di Gesù del sopraggiungere della fine («tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento»), gli apostoli reagiscono con un grido di battaglia: «Signore, ecco qui due spade», a cui Gesù reagisce con: «Basta!».

La scena si sposta dunque nell’Orto degli ulivi, dove netto è il contrasto tra i discepoli che dormono per la tristezza e l’angoscia crescente di Gesù, manifestata dal sudare sangue.

Qui tenebre, meschinità e violenza raggiungono uno dei loro vertici nella figura di Giuda e del suo seguito («capi dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani», con i loro servi), ma proprio qui fiorisce anche il primo dei momenti di luce, tenerezza e cristallinità che vorrei sottolineare: quando uno dei discepoli colpisce il servo del sommo sacerdote, staccandogli l’orecchio, Gesù lo guarisce. Nella vicenda della passione, Gesù non fa del male a nessuno e quando uno dei suoi fa del male a qualcuno, lui lo guarisce. Nell’incontro-scontro tra Gesù e l’umanità, l’unico che si fa male è Gesù.

E, infatti, da qui in avanti le cose per lui degenerano («Questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre»): la derisione da parte di chi lo ha in custodia (verosimilmente le guardie del Tempio, non ancora certamente i soldati romani), le botte, gli insulti, il processo davanti al Sinedrio, l’interrogatorio di Pilato, quello di Erode, la condanna a morte, fino alla crocifissione.

Il secondo episodio di luce, tenerezza, cristallinità che vorrei mettere in evidenza riguarda, infatti, le parole di Gesù sulla croce che, nella versione di Luca, sono diverse da quelle presentate nei sinottici.

Il terzo evangelista inserisce tre espressioni bellissime ed emblematiche della personalità di Gesù: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»; «Oggi sarai con me nel paradiso»; «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».

Sono le parole che Gesù dice prima di morire: la prima è rivolta al Padre, ma ha come contenuto gli esseri umani (che fanno il male); la seconda è rivolta a un essere umano (un delinquente); la terza è un “a tu per tu” col Padre.

In queste tre espressioni, in circolarità, ci sono tutti i poli dell’esistenza di Gesù: lui, il Padre, l’umanità. E i toni sono di una dolcezza infinita.

Da ultimo, vorrei ricordare un momento di luce, tenerezza e cristallinità non agito da Gesù, ma su Gesù ed è l’accompagnamento sofferto ma tenace di alcuni personaggi apparentemente secondari verso la croce e anche oltre la croce: Simone di Cirene, le donne, il centurione romano, Giuseppe d’Arimatea…

«Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui»;

«Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”»;

«Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo»;

«Giuseppe […] di Arimatèa […] si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia […] Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati».

Gesù è sprofondato nelle tenebre, vittima della violenza e della meschinità degli esseri umani, ma non è mai stato solo, c’è sempre stato uno sguardo e un pensiero umano, dei corpi umani che lo hanno seguito.

La domanda per noi è come si fa a diventare quegli umani che hanno sguardi, pensieri e corpi che accompagnano e non esseri umani meschini, artefici di tenebre e meschinità.

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