Questa settimana è l’ultima dell’anno liturgico, la prossima inizierà l’avvento.
Come da tradizione, l’ultima domenica del calendario della Chiesa è dedicata a Cristo Re dell’Universo.
Il vangelo scelto può apparire sconcertante perché, celebrando il Figlio di Dio signore del cosmo, ci viene proposto il brano di Gesù in croce.
Ciò che la liturgia vuole suggerirci è la domanda che inevitabilmente ci sale alla bocca: “Che razza di re è uno che ha il suo trono sulla croce?”.
Questo interrogativo non va evitato. Non bisogna censurarlo, pensando di essere blasfemi.
Anzi, è proprio dal patibolo che Gesù mostra la sua regalità.
Se troviamo strana l’associazione regalità-croce, dobbiamo chiederci quale tipo di regalità abbiamo in testa.
Certamente, la regalità di Gesù non è quella del Re Sole o di qualche altra immagine di sovrano terreno che ci sovviene alla memoria.
Come per tante altre categorie umane (divinità, potere, famiglia, ecc…), anche per “regalità” dobbiamo accogliere la risignificazione che Gesù ne ha fatto, il nuovo senso che le ha dato.
D’altra parte, chiari indizi erano già disseminati lungo tutto il vangelo.
Tante volte Gesù aveva parlato di Regno e sempre con una modalità che non corrispondeva all’abituale senso che diamo a questo termine.
È come se Gesù ci invitasse a scaravoltare le nostre convinzioni, i nostri luoghi comuni, addirittura il linguaggio che usiamo, per accedere a una realtà diversa da quella che abbiamo sempre pensato.
È possibile un modo diverso di guardare all’esistenza che non è quello che ci viene più immediato, più istintivo.
E questo modo nuovo di guardare (e quindi di intendere e vivere) la vita è quello che lungo tutto il corso dell’anno liturgico passato abbiamo provato ad assimilare.
Ci si può svegliare la mattina mossi dalla brama di sopravvivere, come diceva Schopenhauer; o ci si può guardare e guardare gli altri alla ricerca dei meandri del nostro inconscio, come diceva Freud…
Ogni filosofo/a ci ha dato una prospettiva da cui osservare e osservarci…
Poi si può assumere lo sguardo di Gesù e alzarsi chiedendosi: “Come posso oggi amare e amarmi di più? Imparare ad amare e ad amarmi un po’ di più?”.
La celebrazione di Cristo re dell’universo diventa, dunque, l’occasione per chiudere un anno e riaprirne un altro basandosi sull’unico criterio che può rendere la vita bella: il voler e il volersi bene. Ben sapendo che una vita che si fonda sull’amore è la più bella che possa esistere, anche se non la più facile… anzi… l’amore – proprio per il suo strutturale presentarsi come disarmato – rende vulnerabili e fa finire sulla croce.
Ma Gesù ci mostra che anche lì è possibile continuare a scegliere la logica dell’intenerimento, della cura, dello stare con: «Oggi con me sarai nel paradiso».
Il mio augurio, per questo nuovo anno liturgico che sta per cominciare, è che, tra i tanti pensieri, le tante cose da fare, le tante preoccupazioni, ci sia anche uno spazietto per dedicarsi ad amare di più.
2 commenti
Grazie, Chiara, é un bellissimo augurio, molto impegnativo ! Non si puo’ che ricambiarlo……
Grazie!