I passi che ci parlano di Gesù bambino sono contenuti solo in due vangeli: quello di Matteo e quello di Luca.
Sono stati scritti qualche decennio dopo la morte e risurrezione di Gesù e, quindi, all’incirca una settantina di anni dopo lo svolgimento dei fatti.
Inoltre, sono tra le ultime cose scritte riguardo alla vita di Gesù. È come se i vangeli avessero preso forma partendo dalla fine: i primi manoscritti che parlavano di Gesù, raccontavano, infatti, i momenti finali della sua esistenza (la morte e la risurrezione).
In un secondo momento si è sentita l’esigenza di narrare la sua vita pubblica, rispondendo alla domanda: chi era quell’uomo di cui si dice che è morto e risorto?
Solo in ultima analisi si è voluto andare ancora più in là e risalire alla sua origine: alla sua infanzia, alla sua nascita, al suo concepimento.
In questa prospettiva non c’è da stupirsi che questi testi non siano storici (nel nostro senso moderno), ma consistano in una rielaborazione teologica che vuole – appunto – rispondere all’interrogativo sulla sua origine.
Matteo e Luca affrontano la questione da angolazioni diverse: Luca scrive, narrando la storia dal punto di vista di Maria, mentre Matteo lo fa dal punto di vista di Giuseppe.
Non dobbiamo dimenticare che Matteo scrive a una comunità cristiana formata da ebrei, per i quali il messia atteso doveva discendere dal re Davide. Ecco perché diventa centrale la discendenza acquisita tramite Giuseppe, della famiglia di Giuda (vedi la genealogia, che precede immediatamente il testo odierno e che apre lo stesso vangelo matteano, Mt 1,1-17).
Chiarite queste premesse, diventa più chiaro il motivo per cui ciò che è raccontato non va inteso in senso cronachistico, come se il brano di questa quarta domenica di avvento ci presentasse per filo e per segno ciò che è realmente accaduto. Piuttosto, il testo è una rielaborazione teologica e – in quanto tale – va letto e interpretato.
Ciò che ci si deve chiedere non è, dunque, se le cose siano effettivamente andate così, ma cosa l’evangelista – raccontando questa storia – abbia voluto comunicare circa l’origine di Gesù.
Da questo punto di vista è evidente che l’intenzione dell’autore è quella di collocare l’avvento di Gesù in una prospettiva che non possa essere identificata con quella di un normale concepimento.
Perché effettivamente non è stato concepito normalmente come tutti noi?
Non abbiamo elementi per rispondere a questa domanda: noi non sappiamo come effettivamente siano andate le cose e non è interesse dell’evangelista comunicarcelo.
Ciò che Matteo vuole dire è che quell’uomo che lui e la sua comunità hanno riconosciuto come Figlio di Dio e salvatore “veniva da Dio”. Quell’uomo di cui confessavano la risurrezione, dopo la morte di croce, quell’uomo che aveva rivelato in parole e opere il volto di Dio, aveva la sua origine proprio in Dio.
Questo è ciò che si celebra a Natale: il dono che Dio ha fatto all’umanità; il dono di Gesù; il dono di qualcuno che ci ha mostrato il suo volto.