Pur essendo entrati nel tempo ordinario da due settimane, anche questa domenica la liturgia ci riserva una giornata extra-ordinaria, una solennità.
Si tratta della solennità del Santissimo corpo e sangue di Gesù, più nota come Corpus Domini.
Siamo invitati, dunque, a riflettere sul corpo di Gesù, il suo corpo in carne ed ossa, e sul pane e sul vino segni che nell’ultima cena lui stesso ha associato al suo corpo e al suo sangue.
Ciò che caratterizza la fede cristiana, e che da sempre ha suscitato domande al suo riguardo, è credere che Dio abbia preso carne umana.
Quel Dio che da sempre, sia a livello religioso che filosofico, era stato pensato come trascendente, cioè al di là della possibilità di essere percepito con i sensi, ad un certo punto della storia – per i cristiani – si è reso visibile, udibile, toccabile, annusabile, gustabile.
Si è in-carnato.
L’obiezione per i non credenti o per i credenti in altre religioni è facile: Gesù era solo un uomo, ecco perché era percepibile dagli altri esseri umani.
Magari un grande uomo, un uomo eccezionale rispetto alla media, ma – appunto – solo un uomo.
Per i cristiani, invece, quell’uomo in carne e ossa è Dio fatto uomo.
Che noi personalmente ci crediamo o no, resta il fatto che siamo di fronte a una coraggiosa rivoluzione riguardo alla concezione di Dio, che merita di essere indagata.
Che idea di Dio hanno i cristiani, per dire che Dio si è fatto uomo?
Innanzitutto hanno l’idea che Dio – a differenza di quanto sostenuto per esempio da Epicuro – è interessato all’umanità, vuole entrarci in relazione.
In secondo luogo, l’idea che il desiderio di Dio di avere una relazione con gli esseri umani lo spinge a “fare il primo passo”: a mostrarsi, farsi conoscere, entrare nella loro vita.
Terzo: questo entrare nel loro mondo, questo venire al mondo, non ha i tratti dell’imporsi, del prendere la scena, dell’arrivare in maniera dirompente; si tratta piuttosto di farsi come noi e vivere la nostra stessa vita, le nostre stesse limitazioni (spazio-temporali e corporee). È un farsi prossimo e “uguale” a noi.
Provare a chiederci il perché di questa scelta, equivale a chiederci “chi è colui che ha fatto questa scelta?”.
Perché uno, che potendo imporsi, si propone e non si impone? Chi è uno, che potendo imporsi, si propone e non si impone?
Perché uno, che potendo segnare e far pesare un’incommensurabile distanza e differenza, si fa prossimo e non tiene le distanze? Chi è uno, che potendo segnare e far pesare un’incommensurabile distanza e differenza, si fa prossimo e non tiene le distanze?
A mio giudizio, un Dio che non è in cerca di sudditi, di devoti, di osannatori… ma un Dio che è in cerca di relazioni autentiche, libere, reciproche.
E perché mai Dio avrebbe avuto voglia di relazionarsi in maniera autentica, libera e reciproca con noi?
Il mio amico Davide sostiene che è perché si è commosso e innamorato della prima specie vivente che, nel pericolo, sceglie di salvare il più debole (l’essere umano in effetti è l’unica specie che mette in salvo i figli / le figlie più fragili e non quelli/e con più speranza di portare avanti la specie, come fanno tutti gli altri esseri viventi).
Dio si sarebbe commosso e innamorato di questa nostra possibilità di custodire la fragilità.
A me è sempre piaciuta questa idea di Davide!
Voi che ne pensate?
Infine, i cristiani per tenere bene a mente il Dio in cui credono, il Dio che si è fatto carne, hanno scelto di mantenere viva la memoria di un gesto di Gesù, che più di tutti era in grado di dire il senso della sua in-carnazione: l’ultima cena.
Ecco perché ogni settimana si radunano per fare memoria del pane che diventa corpo e del vino che diventa sangue: per avere sempre presente che il Dio in cui credono non è quello che ci porta fuori dal mondo, ma quello che ci invita a stare con lui immersi in questo nostro mondo.