Ricomincia un nuovo anno liturgico, l’anno A, al seguito del vangelo di Matteo. E, come ogni anno, inizia con il tempo di avvento: quattro settimane di preparazione al Natale.
Il vangelo di questa prima domenica dell’anno nuovo assomiglia molto a quello di due settimane fa, in cui – nella versione di Luca – avevamo letto del “giorno del Signore”.
Rispetto a quel testo, però, il brano di Matteo sembra sottolineare un aspetto preciso, e cioè il fatto che il ritorno di Gesù risorto (a chiudere la storia) sarà improvviso, senza preavviso: «come nei giorni che precedettero il diluvio […] non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo».
Da qui le sottolineature sulla necessità di vegliare («Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà») e di essere pronti («Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo»).
Cosa significano però, concretamente, questi suggerimenti? Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento di fronte alla consapevolezza di questo ritorno senza preavviso?
Dipende… mi verrebbe da dire.
L’atteggiamento di fronte a “qualcosa” dipende sempre da cosa è o da cosa mi immagino sia “quella cosa”.
Se il “qualcosa” che deve accadere è un fatto terrificante, la mia attesa sarà angosciosa, piena di paura e ansia. Se invece si tratta di un evento lieto, l’attesa, per quanto trepidante, sarà caratterizzata da speranza e desiderio.
La prima cosa da chiedersi è perciò questa: Cosa penso che sia (o come mi immagino) l’incontro col Signore? Me lo aspetto come una cosa terribile? Perché? Che motivi ho per pensarla così?