Mentre settimana scorsa – nella domenica che faceva memoria dell’ascensione di Gesù – abbiamo visto come la narrazione di quell’evento sia stato il modo in cui la Chiesa nascente ha elaborato l’assenza di Gesù (o per lo meno l’assenza delle forme in cui fino a quel momento era stato presente), oggi leggiamo i testi che raccontano il dono dello Spirito santo, cioè la narrazione della ri-significazione della presenza di Dio nel mondo dopo la morte, risurrezione e ascensione di Gesù: in Spirito.
Pentecoste (letture)
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,26-27; 16,12-15)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Ascensione (commento) – Col naso all’insù
L’ascensione è il modo in cui la Chiesa nascente ha narrato (e quindi elaborato) la sua vita “senza Gesù”.
Ascensione (letture)
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 16,15-20)
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
VI Domenica di Pasqua (commento) – Alzare il tasso di amore nel mondo
«Àlzati: anche io sono un uomo!» dice Pietro a Cornelio che gli si è inginocchiato davanti «per rendergli omaggio».
«Àlzati: anche io sono un uomo!»… cioè anche io non sono Dio, anche io sono un uomo come te. E non importa che io sia un apostolo e tu un pagano (un non battezzato), siamo alla stessa “altezza”. Siamo ugualmente umani.
VI Domenica di Pasqua (letture)
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,9-17)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
V Domenica di Pasqua (commento) – Fiorire
Il brano di vangelo di questa domenica ci propone la famosa metafora della vite.
Il testo però contiene già anche la spiegazione delle immagini metaforiche con la loro corrispondenza nella realtà: il Padre è rappresentato dalla figura dell’agricoltore, Gesù da quella della vite e noi da quella dei tralci.
Le espressioni che segnalano le relazioni in atto sono l’attività dell’agricoltore-Padre (prendersi cura della vigna, tagliando e potando), quella reciproca della vite-Gesù e dei tralci-noi (rimanere: «Rimanete in me e io in voi»), quella dei tralci-noi (portare frutto).
Anche se istintivamente ci verrebbe subito da precipitarci su ciò che dobbiamo fare noi (una precipitazione sempre un po’ figlia dell’ansia di essere all’altezza, ansia a sua volta figlia della permanente atavica paura di non piacere a Dio, paura a sua volta figlia di una scorretta immagine di Dio che abbiamo nel cuore), ritengo che sia importante soffermarsi su tutti gli attori che il vangelo mette in campo e su ciascuno dei ruoli che essi svolgono.
V Domenica di Pasqua – letture
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15,1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
IV Domenica di Pasqua (commento) – Gesù non ha un secondo fine
Il brano di vangelo di Giovanni ci presenta Gesù come il buon pastore, contrapponendolo alla figura del mercenario: la differenza è che – nei momenti decisivi (quando arriva il lupo) – l’uno è disposto a dare la vita per le proprie pecore, mentre l’altro le abbandona e fugge, permettendo al lupo di rapirle e disperderle. Tutto questo perché al buon pastore importa delle pecore, mentre al mercenario no.
IV Domenica di Pasqua (letture)
Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 10,11-18)
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e dò la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo giudicare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io dò la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la dò da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».