XXIII domenica del tempo ordinario

Il brano di vangelo di questa settimana ci presenta una delle tante guarigioni che Gesù ha operato.

Si tratta però di una guarigione particolare, dove al centro non è il fatto stesso della purificazione dalla lebbra, ma l’intreccio delle reazioni che questo evento suscita.

Tutto ha inizio con l’ingresso di Gesù in un villaggio.

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XXVII domenica del tempo

Il vangelo di questa domenica è diviso in due parti.

La prima (vv. 5-6) contiene la richiesta degli apostoli «Accresci la nostra fede!», rivolta a Gesù, cui segue la sua risposta. Essa si allunga poi in un discorso (che diventa la seconda parte del vangelo), che chiede agli ascoltatori di immedesimarsi in un padrone che ha un servo. La situazione descritta è quella di chi trova del tutto normale che un sottoposto – al
rientro dalla giornata di lavoro – prepari da mangiare per il suo signore e lo serva. Solo a quel punto mangerà e berrà anche lui.

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XXVI domenica del tempo

Il brano di vangelo di questa domenica ci presenta una parabola di Gesù: è una storia inventata che ha lo scopo di veicolare un messaggio.

Non si tratta dunque di una dissertazione di Gesù sull’aldilà, sul paradiso e sull’inferno o cose simili (argomenti dei quali infatti Egli non parla mai), ma

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XXI domenica del tempo

Il brano di vangelo di oggi è diviso in due parti: nella prima Gesù racconta una parabola, in cui un tu immaginario partecipa ad una festa di nozze. Il consiglio che Egli dà è di non mettersi al primo posto, per evitare – se c’è qualcun altro più degno – di finire all’ultimo posto e fare una brutta figura, ma piuttosto di mettersi all’ultimo posto, così colui che ha fatto gli inviti ti faccia sedere più avanti e fare bella figura. Potremmo dire che questa prima parte parla dell’umiltà, come

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XXI domenica del tempo

Le parole del vangelo di questa domenica richiamano quelle di settimana scorsa: scegliere di seguire il Signore e il suo vangelo non è qualcosa che possa essere preso alla leggera.

Non è un hobby fra gli altri, qualcosa che si aggiunge alle tante attività che si svolgono nella giornata: è una scelta che impregna tutto il nostro modo di essere, di vivere, di agire e li determina.

È porre come base orientativa per tutto ciò che facciamo la legge dell’amore.

E si tratta di una porta stretta, di uno sforzo: perché farsi carico delle vite degli altri non è facile, non è immediato, non è – come dicevamo settimana scorsa – naturale.

Naturale, istintivo, è preoccuparsi di sé, della propria riuscita, del proprio successo, della propria sopravvivenza, del proprio interesse. Del proprio e di quelli che sentiamo “nostri”:

Prendersi cura degli altri, invece, chiede un’uscita da sé, una capacità di empatia e solidarietà, il riconoscimento che l’altro – ogni altro – è in qualche modo qualcuno di cui sono responsabile, perché umano, come me, figlio dello stesso Padre e fatto dello stesso mio impasto di carne e spirito.

Il modo che oggi Gesù ha di dire queste cose è quello del farci pensare alla fine della nostra vita: guardando da quella prospettiva, cioè dalla fine, come possiamo inventarci il nostro oggi?

Quale tipo di vita (da scrivere oggi), ci farà dire domani che possiamo morire felici?

Questa è la questione e non – come purtroppo spesso è stato predicato – la minaccia dell’inferno.

Spesso infatti si è inteso male questo brano di vangelo. Sostanzialmente il ragionamento era questo:

«Signore, sono pochi quelli che si salvano?» – è stato inteso come “Signore, sono pochi quelli che vanno in paradiso?”.

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno», come se Gesù dicesse che sì, sono pochi quelli che entreranno in paradiso, perché il paradiso ha una porta stretta, e molti non riusciranno ad entrarvi.

E nemmeno di fronte alla supplica di aver pietà, sarà possibile cambiare il verdetto divino: «Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete”».

Con l’esito inevitabile di finire all’inferno («Là ci sarà pianto e stridore di denti») con, in aggiunta, l’umiliazione di vedere gli altri che passano («quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio»).

Questa interpretazione del testo è sbagliata, perché è letterale e non tiene conto delle figure retoriche che Gesù usa, ma è stata divulgata ampiamente perché è molto immediata (non costa la fatica di comprendere e far comprendere il linguaggio di Gesù) e perché è funzionale ad uno degli scopi che la Chiesa – ahinoi – si è trovata a svolgere nel corso dei secoli: quello dell’organizzazione e del controllo della società. Come insegnano anche i tempi recenti, se lo scopo di un’istituzione è quella di governare le coscienze, il mezzo più sicuro e rapido è la paura: oggi si usa la paura dell’altro, del diverso; ieri si usava la paura di Dio, dell’inferno.

Che è un bel paradosso per la Chiesa, cioè per la comunità di coloro che dovevano vivere del vangelo e della sua trasmissione: cioè, coloro che dovevano insegnare il volto di Dio così come ce lo ha fatto conoscere Gesù, cioè il volto solo buono del Padre, hanno finito per trasmettere l’immagine di un dio di cui avere paura, perché manda all’inferno.

Molto più impegnativo è invece fare la fatica di studiare il testo evangelico, non accontentandosi di una lettura superficiale, di quello che mi pare il senso immediato, e andare ad indagare cosa ha voluto dire Gesù dicendo quelle parole e usando quelle immagini.

Molto più impegnativo formare le coscienze verso un cammino di adesione libera ma consapevole alla vita secondo il vangelo. Perché di questo si tratta.

Proviamo a riprendere il testo:

«Signore, sono pochi quelli che si salvano?» non va tradotta immediatamente con “Signore, sono pochi quelli che vanno in paradiso?”. Prima di tutto bisogna chiedersi cosa si intende per “salvezza”. Cos’è la salvezza? Quando una vita si può dire “salva”? Se provassimo a immaginarci vecchi vecchi, alla fine della nostra vita, nel nostro letto, poco prima di chiudere gli occhi, quale tipo di vita (quale nostra vita) giudicheremmo “salva”?

Questo è il punto: non chiederci a quali condizioni, dopo morti, entreremo in paradiso (vivaddio speriamo che tutti ci vadano. E – tra parentesi – anche qui, bisognerebbe chiederci cosa intendiamo per paradiso… il premio per le nostre buone azioni? un posto fisico fatto di prati e nuvolette? o una situazione di comunione con Dio e ogni suo figlio?), quanto piuttosto – appunto – la domanda sulla pienezza della vita che sta per finire. Quali “cose” della vita, alla fine, mi faranno giudicare piena, bella, ariosa la vita che ho vissuto?

Questa è la salvezza.

Anche nel nostro linguaggio, provate a pensarci: quale vita vorresti aver salva?

Sto leggendo il libro di Grossman Vedi alla voce amore, dove c’è questo Wasserman che nei campi di concentramento ha perso la moglie e la figlia (a cui una SS ha sparato il giorno che è arrivata nel lager). E lui vuole morire (solo che – nel libro – non può: è sopravvissuto alla camera a gas, gli hanno sparato in testa, ma niente, non muore). Lui la vita la vorrebbe perdere, altro che salvare.

Ecco allora la domanda: quale vita (nostra), quale tra i tanti tipi di vita che possiamo vivere da qui al giorno della nostra morte, vorremmo salvare. Quale persona, tra i tanti tipi di persona che posso essere da qui a quando muoio, vorrei consegnare alla morte?

Ebbene, Gesù risponde che la vita / la persona che ha in mente lui è un tipo di vita / di persona che si orienta sull’amore del prossimo, sulla presa in carico dell’umanità che ci circonda, sulla costruzione del regno (di un mondo migliore). Ma, avverte, questa è una scelta impegnativa, una «porta stretta», perché chiede coraggio, forza di volontà, conoscenza di se stessi, dedizione…

L’alternativa è operare ingiustizia: «Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!». Cioè vivere una vita orientata non sull’amore, ma sull’odio, sulla prevaricazione, sull’interesse… Ebbene, questa vita, secondo Gesù non è una bella vita: è una vita che rende tristi e fa digrignare i denti («Là ci sarà pianto e stridore di denti»).

A noi la scelta su chi essere: se fidarci di Gesù e provare a seguire la sua proposta, oppure no.

Letture:

Dal libro del profeta Isaìa (Is 66,18-21)

Così dice il Signore: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore. Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».

Dalla lettera agli Ebrei (Eb 12,5-7.11-13)

Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio». È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,22-30)

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

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XX domenica del tempo

Il testo del vangelo di oggi è la continuazione di quello di settimana scorsa. Siamo sempre nel capitolo 12. Riprendiamo dunque il discorso che sta facendo Gesù:

1- La vita di una persona non dipende da ciò che possiede;

2- Cercate piuttosto il regno di Dio;

3- Questa ricerca non è accessoria, ma strutturale: il discepolo è colui che struttura la sua vita, le sue giornate in vista di questa costruzione del regno, cioè di un mondo dove tutti (e non solo i nostri) stanno meglio.

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XIX domenica del tempo

Il brano di vangelo di questa domenica è tratto – come quello di settimana scorsa – dal discorso che Luca mette in bocca a Gesù nel capitolo 12. Non è la continuazione diretta di quello (in mezzo ci sono i versetti dal 22 al 31 che la liturgia omette), ma la questione è sempre la medesima: da cosa deve essere orientata la vita del discepolo? Cosa dà senso alla vita?

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