Il vangelo di questa settimana è tratto dal capitolo 13 di Matteo: lasciato il discorso missionario, siamo ormai nell’ambito del discorso parabolico. Il brano, infatti, ci propone la storia del seminatore che uscì a seminare.
E’ una parabola molto conosciuta, il cui protagonista – forse – più che il seminatore – è il seme stesso, che cade su vari tipi di terreni (sulla strada, in un luogo sassoso, sulle spine, sulla terra buona). Nei primi tre casi, la semina non va a buon fine (perché vennero gli uccelli e la divorarono, perché restò bruciata e non avendo radici si seccò, perché fu soffocata), mentre nell’ultimo non solo dà frutto, ma lo dà con un’abbondanza tale da sembrare incredibile (dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta).
Fino a qui la parabola.
Il testo, però, prosegue con un dialogo tra Gesù e i discepoli il cui fulcro è la domanda: “Perché parli loro in parabole?”. Diversamente da quanto abitualmente si pensa, la risposta non è “Parlo loro in parabole così mi capiscono meglio” – quasi che le parabole fossero una via di accesso semplificata alla comprensione dell’annuncio del Regno di Dio -, ma, al contrario, “Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato”.
La parabola, dunque, è pensata come genere letterario complesso, assolutamente non di immediata comprensione, tanto che – solo per i discepoli – segue una sua spiegazione: il seme seminato lungo la strada simboleggia quelle situazioni in cui ascoltiamo la parola del regno, ma non la comprendiamo; il seme seminato nel terreno sassoso rappresenta quei momenti in cui ascoltiamo la parola e l’accogliamo con gioia, ma quando, a causa sua, giungono tribolazioni e persecuzioni, scegliamo di non rimanerle fedeli; il seme seminato tra le spine fa riferimento alle volte in cui ascoltiamo la parola, ma le preoccupazioni mondane e/o il fascino della ricchezza soffocano la sua voce in noi; il seme seminato nella terra buona è, invece, l’immagine di quando ascoltiamo la parola e la comprendiamo.
“Ascoltare e comprendere” sembrano le parole chiave, il binomio decisivo.
Ciò è molto curioso, soprattutto ripensando alla storia della Chiesa cattolica che per secoli ha sottratto la parola di Dio ai suoi fedeli (la Bibbia nelle lingue del popolo era un libro messo all’Indice). Fortunatamente – con il Concilio Vaticano II – è avvenuta la “restituzione” delle Sacre Scritture al popolo di Dio, ma la domanda che dobbiamo porci è: noi cristiani/e ascoltiamo e comprendiamo o ascoltiamo e basta?
Soprattutto alla luce del fatto che anche le parabole – che forse credevamo essere il marchingegno letterario più semplice – sono, in realtà, una costruzione complessa, cosa possiamo fare per penetrare in profondità il messaggio evangelico e far sì che non rimanga solo una verniciatura esterna della nostra vita?
Gli strumenti oggi a disposizione sono molti (libri, commenti, video, conferenze…) e l’estate potrebbe essere un tempo propizio per dedicarvisi con passione. Abbiamo un tesoro tra le mani, dissotterriamolo…