Il vangelo di questa settimana ci narra due incontri di Gesù risorto con i suoi discepoli: il primo si colloca la sera stessa di Pasqua e il secondo la domenica successiva.
La prima volta è connotata dall’assenza di Tommaso, che, proprio per questo suo non essere stato presente, dubita di quanto gli riferiscono gli amici; la seconda invece registra la presenza di Tommaso e la sua conseguente fede nel risorto.
Prima di parlare di Tommaso, però, vorrei riprendere quanto dicevamo settimana scorsa e porre l’attenzione su ciò che Gesù risorto ha fatto e su ciò che non ha fatto.
Infatti, dopo che la sua risurrezione è avvenuta nel più totale nascondimento (nessuno ha assistito ad essa) e dopo aver lasciato che i suoi (le sue, ad essere precisi) trovassero il sepolcro vuoto, Gesù non è andato a “farsi vedere” da chi l’aveva voluto morto, né a “prendersi la rivincita” con i suoi oppositori.
Ciò che invece Gesù ha fatto è stato rendersi presente ai suoi (prima alle sue, per essere precisi, poi ai suoi). Anche con loro però Gesù non ha ostentato rancori o rivendicazioni, sebbene tutti l’avessero abbandonato e qualcuno pure rinnegato. Non gli ha rinfacciato nulla, ma anzi – entrambe le volte – si è presentato con un saluto rassicurante: «Pace a voi!».
Come già dicevamo settimana scorsa, il risorto non viene per fare i conti.
Eppure chissà perché, questa cosa non riusciamo a riferircela, a riferirla a noi stessi, alla nostra esperienza di lui. Noi infatti pensiamo che con noi i conti li farà eccome.
Senza accorgercene abbiamo come il retro-pensiero per cui Gesù – che è stato tanto buono in vita – ora invece si aspetta qualcosa da noi. Come se, prima del suo avvento ci si sarebbe anche potuti appellare all’ignoranza sul da farsi, mentre adesso – dopo la sua venuta – non abbiamo più scuse. Perciò su tutta quella misericordia e magnanimità mostrata in vita non possiamo fare affidamento. Un conto era prima… Ma dopo…
Ecco… in questo “un conto era prima… ma dopo…” sta tutto il fraintendimento. Come se prima Gesù fosse una cosa, pensasse in un certo modo, rivelasse una certa idea di Dio, mentre dopo fosse qualcosa di diverso, pensasse in modo diverso, rivelasse un’idea diversa di Dio.
È sempre il solito pregiudizio della “rivincita”, del aver vinto la morte per potere – da risorto – tirare i conti.
Ma l’episodio costruito attorno a Tommaso è messo lì apposta per evitare questo fraintendimento: il risorto è il crocifisso, non è un altro, non ha cambiato personalità o atteggiamento: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».
Le parole che Gesù risorto rivolge a Tommaso suonano come un “Sono proprio io. Non mi riconosci? Sono sempre io. Sono sempre lo stesso”.
Nei testi che parlano della risurrezione sono diversi i segnali che gli evangelisti ci hanno lasciato per indicare la continuità tra il Gesù vivo e il Gesù risorto: ha la stessa voce, compie gli stessi gesti, ha i segni della crocifissione.
Tutti elementi che vogliono indicare che l’identità di Gesù è la medesima: non solo il crocifisso è risorto, ma il crocifisso è il risorto e il risorto è il crocifisso. È sempre lui.
E infatti anche nel brano di oggi Gesù è riconoscibilissimo, perché ciò di cui parla, il Dio che propone è sempre lo stesso: “Andate e perdonate” è infatti il suo messaggio. “Andate e liberate dalla paura di Dio”, “Andate e portate buone notizie riguardo a Dio” (= portate il vangelo).
L’incontro con il risorto, dunque, l’unico a noi possibile (dato che quando era in carne ed ossa noi non c’eravamo), è l’incontro con quel medesimo Gesù che i vangeli testimoniano, non un altro: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».