La frase che quest’anno mi ha colpito di più del vangelo di questa prima domenica dopo Natale è quella che pronuncia Simeone, rivolgendosi a Maria: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
Le parole di Simeone squarciano infatti (come un coltello, la tela) quell’immagine dolciastra di Gesù che spesso viene veicolata: un’immagine tutta fiorellini e nuvolette, che ci restituisce un uomo così irenico, così etereo da risultare insignificante. Un’immagine che – proprio il periodo natalizio, con la sua coreografia fiabesca – rischia di amplificare.
No – dice Simeone – Gesù è un’altra cosa: sarà un segno di contraddizione, svelerà i pensieri di molti cuori, cioè sarà uno (è uno) che costringe a uscire dalle proprie ipocrisie, dalle proprie convenienti maschere, e a prendere posizione, a dire da che parte stiamo nelle questioni serie della vita, quelle che riguardano le ingiustizie, le ferite, le emarginazioni, la considerazione degli altri.
La critica forte di Gesù a tutti i sistemi di potere (e in particolar modo al sistema del potere religioso) e alle disumanità che attuano e da cui si autoassolvono, non può essere disinnescata, riconducendola ad un aspetto marginale della sua vita. Come se egli fosse stato prima di tutto uno che dà carezze e solo così, en passant, uno che ha usato parole di contestazione.
Il discorso è delicato, perché il rischio è che i destinatari delle carezze e delle parole di contestazione si confondano.
Provo a spiegarmi: storicamente, spesso, la predicazione ha usato il vangelo come strumento di reprimenda contro il popolo. Ha cioè colpevolizzato (soprattutto a livello morale e in particolare per quanto riguarda la sfera sessuale) la gente comune, mentre non si è mai rivolta ai potenti con altrettanta significativa durezza.
Il vangelo però racconta un’altra storia: Gesù ha sempre dato carezze (cioè ha sempre mostrato tenerezza, compassione, comprensione) agli scarti della storia, fossero essi donne, bambini, malati, disabili, diversi, emarginati – anche quand’anche essi fossero realmente colpevoli di comportamenti discutibili –, ma si è sempre scontrato frontalmente con chi si trovava in posizioni di forza (perché maschio, religioso, ricco, rispettoso delle regole).
Emblematico da questo punto di vista l’episodio dell’adultera e dei suoi accusatori o la parabola del padre misericordioso, così come il suo affetto innato per tutta la gente malriuscita che lo circondava e i numerosi scontri con farisei, sacerdoti, anziani… che lo porteranno alla morte.
Usare invece il vangelo nel senso contrario (per colpevolizzare i piccoli e difendere i grandi) ha portato all’effetto paradosso di inculcare nella gente comune la paura di Dio (mentre Gesù era venuto a dire proprio a chi si sentiva lontano, che Dio è vicino) e di far sentire invulnerabili alle sue sferzate coloro che si sentivano (si sentono) dalla sua parte (mentre Gesù era venuto a dire proprio a chi pensava di essere apposto, che Dio era diverso da quello che loro pensavano).
E così a chi andava annunciata la tenerezza di Dio e la sua misericordia è stato invece proclamato un dio giudice e vendicatore e a chi andavano dette parole dure, che smuovessero l’ostinata convinzione di essere nel giusto, è stata proposta la bambagia di una vita cullata dalla sicurezza di essere dalla parte di Dio, addirittura suoi ministri.
Ora il punto per noi è cercare di collocarci nel posto che ci compete di fronte al vangelo: facciamo parte degli “scarti della storia” o della schiera di coloro che si sentono giusti?
Potrebbe aiutarci, per trovare la nostra giusta collocazione, provare a identificarci con qualche personaggio del vangelo (non con quello che ci piace di più, ma con quello che – per condizione sociale, economica, religiosa, ecc… – effettivamente può corrispondere alla nostra posizione odierna).
In questo modo sapremo qual è la parola che il Signore ci rivolge, cioè se è ora che ci facciamo consolare da Lui o se è ora che ci facciamo sferzare dal suo essere “segno di contraddizione”.