Quest’anno la seconda domenica di avvento cade nel giorno della solennità dell’Immacolata e perciò i testi che si leggono a messa sono diversi da quelli previsti per il tempo di avvento.
I brani proposti dalla liturgia sono, infatti, propri della festa riservata a Maria e il vangelo ci presenta l’annunciazione.
Anche il testo che avremmo letto se la solennità dell’Immacolata non fosse caduta proprio di domenica, sarebbe stato interessante per introdurci nel clima di attesa che caratterizza l’avvento.
Si sarebbe trattato, infatti, di Giovanni Battista che come voce nel deserto annuncia il sopraggiungere del Signore (cioè, l’avvio della vita pubblica di Gesù).
Mentre la settimana scorsa il discorso escatologico aveva istituito un parallelismo tra la prima venuta del Signore e la seconda (quella definitiva), questa domenica – per prepararci al Natale – avremmo letto un brano riferito a quando Gesù è già grande e Giovanni Battista ne annuncia il disvelamento pubblico.
Il parallelismo istituito sarebbe stato perciò, in questo caso, quello tra l’attesa e la preparazione per la celebrazione della memoria della sua nascita e l’attesa e la preparazione per l’avvio della missione di Gesù (la sua vita pubblica).
Il testo della seconda domenica di avvento, infatti, è quello in cui sulla scena – dopo un’introduzione storico-geografica che contestualizza l’evento – appare Giovanni, figlio di Zaccaria, il precursore.
Egli è nel deserto e di lui si dice che «percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati».
Come sappiamo, il Battista ha operato prevalentemente nella zona meridionale della Palestina, in Giudea; più precisamente nella parte orientale, dove scorre il fiume Giordano, confine naturale della terra promessa.
E questo non per una casualità: quel fiume, infatti, era molto evocativo per il popolo ebraico perché proprio da lì, al tempo di Mosè e di Giosuè, i loro padri erano entrati nella terra di Canaan (Gs 1-4). L’attività di Giovanni, proprio in quell’area, stava a significare che Israele aveva bisogno di rivivere quell’esperienza: il popolo di Dio aveva tradito l’alleanza con Lui e necessitava di riattraversare il Giordano, cioè di prendere coscienza di essersi allontanato dalla fedeltà al Signore e fare un atto di purificazione: immergersi nell’acqua del fiume per lasciare il precedente modo di essere e uscirne rinnovato, per iniziare così una vita diversa, riconciliata con Dio.
Ciò era avvertito come urgente in quanto, secondo il Battista, il Signore stava per sopraggiungere.
Ecco perché egli si pensa come un precursore, colui che annuncia questa venuta, tanto che ciò che lo definisce è la citazione di Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Sono in particolare queste parole che avrebbero istituito il parallelismo con il tempo di avvento: prepararsi a fare memoria della nascita di Gesù (preparando la via, raddrizzando i sentieri, riempiendo i burroni, abbassando monti e colli, rendendo dritte le vie tortuose e spianando quelle impervie) ci avrebbe istruito su come prepararci ad affrontare il nuovo anno all’ascolto del vangelo (che ci narrerà la sua vita pubblica, la sua opera di salvezza).
Ogni incontro col Signore, infatti, ha bisogno di questa preparazione: non nel senso che dobbiamo essere perfetti (spianati) per incontrarlo, ma nel senso che la relazione con Lui è possibile solo entrando nella profondità (e nella verità) di noi stessi/e.
Solo che l’accesso a noi stessi/e spesso è tortuoso, impervio, pieno di burroni e scalate. Non siamo stati abituati/e, educati/e a percorrere queste vie interiori che, il più delle volte, assomigliano a sentieri interrotti… ci hanno insegnato a cercare Dio fuori di noi, guardando il cielo, ma è nella nostra intimità che possiamo incontrarlo (Dio è Spirito e parla al nostro spirito, la parte in cui noi siamo più noi).
Anche il brano di vangelo proposto per la solennità dell’Immacolata va nella medesima direzione: lì, infatti, possiamo vedere all’opera un incontro intimo col Signore.
Come scrive Luca Violoni in La donna delle decisioni, nel brano dell’annunciazione è mostrato con chiarezza come «Dio parla a persone che hanno una storia, non parla ad anime fuori dal tempo». Maria, all’annuncio dell’angelo, prova una forte emozione e pone una domanda: «Questa domanda è già un tentativo di rielaborazione immediata […] Le emozioni possono e devono porre domande importanti […] non possono automaticamente diventare decisioni […] è questo un passaggio di grande importanza. Non allontanarci dalle nostre emozioni, non far finta che non esistano, non relegarle in un angolo oscuro della coscienza, con il risultato poi di vederle riemergere in altre forme, incontrollate, che finiscono per condizionarci negativamente. Al contrario, bisogna “lavorarci sopra” […] Solo così la nostra vita e le nostre emozioni evolvono, non rimangono solo vissuti psicologici in superficie, magari non compresi da noi stessi […] Maria […] appare come colei che inizia a gestire le proprie emozioni e lo fa davanti al “vangelo”, al lieto annuncio dell’angelo […] Maria […] non cerca immediatamente un aiuto all’esterno, ma cerca in se stessa».
A partire, dunque, sia dal vangelo dell’Immacolata, sia da quello della seconda domenica del tempo di avvento, possiamo fare nostre le parole di Etty Hillesum «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente è coperta di pietre e di sabbia: in quel momento Dio è sepolto, bisogna allora dissotterrarlo di nuovo» [Diario].
L’avvento può essere l’occasione per questo lavorio interiore.