Questa domenica comincia il nuovo anno della Chiesa che – come è noto – non coincide con l’anno civile.
Il calendario liturgico è strutturato in maniera differente dagli altri calendari che segnano la nostra vita (quello scolastico, quello del campionato di calcio, e così via) e si struttura in maniera differente: inizia con l’avvento, cui fa seguito il tempo di Natale; prosegue con una prima parte del cosiddetto “tempo ordinario”, che viene interrotto dal tempo della quaresima e da quello di Pasqua; termina con la seconda parte del tempo ordinario che occupa la tarda primavera, l’estate e buona parte dell’autunno, fino al successivo nuovo anno.
Questa svolta è accompagnata anche dal cambio di evangelista di riferimento. Lasciamo Marco per intraprendere la lettura di Luca.
Il testo di questa domenica – prima di avvento e prima dell’anno liturgico – è, infatti, tratto proprio dal terzo vangelo e – anche se siamo solo all’inizio della sua lettura – ci ritroviamo al capitolo 21.
Gesù è a Gerusalemme e sta pronunciando il discorso escatologico, il medesimo che – nella versione di Marco – abbiamo letto due domeniche orsono.
Non mi soffermo, dunque, troppo analiticamente sul testo, anche se è importante sottolineare che mentre Marco, molto probabilmente, scrisse prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. per mano dei Romani, Luca, certamente, redasse il discorso dopo quell’evento.
Il terzo evangelista ha dunque in mente chiaramente il senso (non solo figurato o evocativo) delle parole «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (Lc 21,6).
L’elemento che, tuttavia, oggi ci interessa maggiormente è la scelta di questo brano liturgico come lettura di apertura per l’avvento.
Questa collocazione lascia, infatti, intendere che vi è un parallelismo tra la prima venuta del Signore e quella finale del suo ritorno.
In entrambi i casi, siamo di fronte all’irruzione di Dio nella storia e fare memoria della nascita di Gesù, può abilitarci a vivere pienamente anche il tempo che ci separa dal nuovo incontro con Lui che ci aspetta.
Un primo aspetto da mettere in luce è che di questo sopraggiungere di Dio non bisogna avere paura: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
L’arrivare di Dio implica qualcosa di buono, di bello, di liberante.
Queste parole assomigliano molto a quelle che Gesù pronuncia all’inizio del suo ministero, nella sinagoga di Nazaret, citando il profeta Isaia («Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore», Lc 4,18) e anche a quelle che l’angelo rivolge a Maria: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù [= Dio salva]» (Lc 1,30-31).
Sembrano considerazioni scontate e, tuttavia, io ritengo sia sempre utile ribadire che l’incontro dell’umano col divino, nella prospettiva cristiana, è qualcosa da desiderare, non da temere.
Una seconda annotazione a mio giudizio degna di nota è quella che mostra la decisività di questo/i momento/i: la relazione col Signore che si fa prossimo è qualcosa di così prezioso che non può disperdersi a causa dei nostri stordimenti («State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso»).
Come per tutti i rapporti costitutivi della nostra esistenza, vi è un’attesa, una preparazione, una trepidazione… così dev’essere anche con Dio, se effettivamente è uno dei rapporti costitutivi della nostra esistenza.
Ecco perché è necessario vegliare e pregare, cioè mantenersi “in contatto” con Lui, “in tensione” verso di Lui.
Il nuovo anno, il nuovo avvento che comincia possono allora essere l’occasione per rimettere a fuoco la nostra relazione col Signore, in vista dell’incontro con Lui che ci attende: l’attesa di Natale, cioè del momento in cui faremo memoria della sua prima venuta, può essere propizia per abilitarci a vivere un’intera esistenza tesa verso il suo sopraggiungere liberante.