Il vangelo di questa domenica ci presenta l’episodio della vita di Gesù che ha dato origine al detto Nemo propheta in patria.
La situazione, infatti, mostra il ritorno di Gesù nel suo paese d’origine (Marco e Matteo parlano genericamente di “patria”, mentre Luca specifica che si tratta di Nazareth), dove l’accoglienza che gli viene riservata è piuttosto ambigua: egli insegna nella sinagoga e, tuttavia, «molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo».
Da un lato vi è la curiosità per questo compaesano che gode di una certa fama, dall’altro incredulità: non sembra credibile che proprio uno che gli è cresciuto accanto, uno che conoscevano fin da bambino, ora sia all’“estero” così apprezzato.
La domanda che probabilmente abita i nazaretani è “Com’è stato possibile che non ci siamo accorti di nulla, quando era tra noi?”.
È un interrogativo ambiguo che, di nuovo, alimenta l’ambiguità della loro reazione. La questione potrebbe, infatti, voler dire “Non ci siamo accorti di nulla, perché siamo stati ciechi” oppure “Non ci siamo accorti di nulla perché non c’era nulla di cui accorgersi”.
L’interpretazione che sembra prevalere è la seconda, anche perché ammettere di essersi sbagliati non è mai semplice: non ci siamo accorti della sua grandezza, perché grande non era.
In più, l’invidia per la buona riuscita delle vite altrui tende sempre a sminuirne la portata.
Se questo vale a livello locale, c’è però da aggiungere un ulteriore elemento.
Per gli abitanti di Nazareth è possibile comportarsi in quel modo perché la fama stessa che accompagna Gesù è ambigua: Gesù non è universalmente acclamato e riconosciuto. Diverse voci sono già sorte a contestarlo.
Nei capitoli precedenti del vangelo di Marco, abbiamo già sentito voci di dubbio e rimostranza nei suoi confronti: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?», «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?», «Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Addirittura «i farisei […] con gli erodiani» avevano tenuto «consiglio contro di lui per farlo morire». Di lui era stato detto che «è posseduto da Beelzebul e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni», «È posseduto da uno spirito impuro». I suoi stessi parenti erano usciti «per andare a prenderlo; dicevano infatti: “È fuori di sé”». I Gerasèni si erano messi a pregarlo «di andarsene dal loro territorio».
La notorietà di Gesù è, dunque, ambigua: c’è chi lo apprezza molto, chi ha lasciato tutto per seguirlo, chi gli sarà grato/a per tutta la vita; ma c’è anche chi pensa male di lui, lo scaccia, addirittura vuole farlo morire.
Gli abitanti di Nazareth si trovano nella situazione di decidere da che parte stare.
Rappresentano un po’ tutti e tutte noi: che posizione prendere di fronte a questo maestro?