Questa domenica si celebra la festa di Pentecoste, la ricorrenza che cade cinquanta giorni dopo Pasqua e che fa memoria del dono dello Spirito.
Come sappiamo, la scansione temporale della liturgia (Pasqua – 40 giorni – Ascensione – altri 10 giorni – Pentecoste) non è legata alla narrazione evangelica, ma a quella degli Atti degli apostoli.
I vangeli, infatti, se parlano dello Spirito lo fanno in maniera diversa da quella degli Atti:
- Matteo non racconta il dono dello Spirito nei termini di una “discesa”; al momento della morte di Gesù dice: «Gridò a gran voce ed emise lo spirito» (Mt 27,50);
- Marco e Luca – nei loro vangeli – non parlano della Pentecoste;
- Giovanni, nel narrare la morte di croce, scrive: «E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30).
La testimonianza dei vangeli è, perciò, quella per cui lo Spirito è lo Spirito di Gesù, lo Spirito che Gesù emette nel momento in cui muore, in cui cioè non è più presente in carne e ossa su questa terra.
Gli Atti degli apostoli, invece, come si evince dalla prima lettura di questa domenica, costruiscono una narrazione teologica che vuole rispondere alla domanda successiva: “Qual è questa nuova modalità di presenza di Dio nella storia?”.
Il racconto – famosissimo – utilizza tre immagini: quella delle lingue di fuoco, quella del vento forte e quella del parlare in altre lingue.
Proviamo a dire qualcosa su ognuna di esse.
Innanzitutto, le lingue di fuoco. Le cose da sottolineare mi paiono essenzialmente due: l’immagine del fuoco e il suo “dividersi” in lingue. Il fuoco fa pensare al calore, a qualcosa che scalda. Si tratta di una metafora che rimanda a qualcos’altro… qualcos’altro che scalderà i cuori e le vite delle persone: la passione per il vangelo, che farà sciogliere il ghiaccio immobilizzante della paura.
Lo Spirito è, dunque, primariamente passione per il vangelo, la quale tuttavia non è monolitica, ma plurale (personale): ogni persona – con la sua unicità – intreccerà la sua vita singolarissima con quella evangelica. A ognuno/a, la sua lingua di fuoco.
In secondo luogo, lo Spirito è come un vento forte che spinge dietro alla schiena e fa muovere, andare e arrivare dove vuole lui, non dove pensavi tu.
Infine, lo Spirito abilita a parlare altre lingue, o meglio, a far intendere agli altri – nella loro lingua – ciò che noi stiamo dicendo: il vangelo si apre a ogni cultura, la quale – a sua volta – lo incarna a modo suo. Non si tratta di relativismo scettico, ma di pluralismo comunionale.
È questo il modo in cui la Chiesa nascente ha sperimentato e trasmesso la nuova presenza di Dio nel mondo: passione per l’umanità, movimento verso l’umanità, unità dell’umanità nella pluralità.
L’invito è, dunque, quello a non irrigidirsi e immobilizzarsi come ghiaccioli, ma a lasciarsi investire, portare, incontrare.