Questa settimana è iniziato il tempo di Quaresima.
Dopo aver letto per alcune domeniche, durante il tempo ordinario, i vangeli che ci parlavano dell’avvio della vita pubblica di Gesù, la liturgia ci fa tornare ai momenti iniziali della sua missione.
A quelle tentazioni nel deserto che seguono immediatamente la predicazione del Battista e il battesimo al Giordano.
Il vangelo di Marco – a differenza di quelli di Matteo e Luca – non si dilunga nell’articolare le tentazioni, ma si limita a una frase: «Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana».
Il deserto, solitamente, è inteso come luogo di prova, cioè come momento in cui Dio mette alla prova l’essere umano, il suo popolo.
In realtà, a ben guardare, il deserto, biblicamente parlando, è il luogo in cui la vita (la storia) mette alla prova l’essere umano e, l’umano alla prova, a sua volta mette alla prova Dio, lo mette in discussione.
Credo sia capitato a tutte e a tutti di ritrovarsi in situazioni di difficoltà tali da sentire di aver smarrito se stessi, se stesse. È in quei momenti che anche Dio appare assente, muto.
Da qui, le tipiche domande del deserto: “Chi sono io?”, “Che senso ha la vita?”, “Che cosa devo fare?”, “Dio, dove sei?”, “Chi sei?”, “Ci sei?”.
I vangeli ci testimoniano che anche Gesù ha attraversato il deserto, alla ricerca di se stesso, del proprio volto e, contemporaneamente, alla ricerca del vero volto di Dio.
Senza quei quaranta giorni (numero evidentemente simbolico) forse avremmo avuto un Gesù, ma non quel Gesù di cui ci parlano i vangeli.
Il deserto, dunque, che comprensibilmente tendiamo a evitare, diventa il luogo inevitabile per diventare se stessi, se stesse e per riscoprire il vero volto del Padre; il luogo dove tutte le maschere, le false immagini e le pie illusioni cadono, perché emerga la verità cristallina (dura e trasparente) di noi stessi e della nostra relazione col Signore.