Cristo Re (commento)

La settimana prossima inizierà l’avvento.

Questa domenica è l’ultima dell’anno liturgico: è la festa di Cristo Re dell’Universo.

In effetti, il brano di vangelo scelto parla del trono del Figlio dell’uomo che verrà nella gloria.

È un’immagine evocativa, come se Gesù volesse farci vedere la storia a partire dalla fine.

È un po’ come se noi guardassimo la nostra esistenza, immaginandoci sul letto di morte.

La domanda che il brano suscita è: cosa vorresti vedere, guardando la tua vita dalla fine?

Che tipo di vita vorresti aver scritto, che tipo di persona vorresti essere diventato/a?

Gesù fa lo stesso, dicendo la sua: secondo lui una vita piena, giusta, bella è una vita in cui abbiamo dato da mangiare a chi aveva fame, abbiamo dato da bere a chi aveva sete, abbiamo accolto lo straniero, abbiamo vestito chi era nudo, abbiamo visitato chi era malato, siamo andati a trovare chi era in carcere.

Di fronte a questa prospettiva, immediatamente, in noi si sollevano tante obiezioni: è troppo difficile, il sistema è troppo complesso, c’è anche chi se ne approfitta, ecc…

Sono tutte obiezioni legittime e fondate.

E, infatti, spesso, bastano a chiudere la questione: Gesù era un po’ un idealista; forse ai suoi tempi si poteva fare, ora no; non ci sono più i poveri di una volta…

Tuttavia, io non credo che Gesù fosse un ingenuo, uno che oggi potremmo classificare nella abusata categoria dei “buonisti” e così non dar peso alle sue parole.

E, pertanto, non mi riesce di liquidare la sua proposta come non adatta a noi, ai nostri tempi.

Ritengo che le pur legittime obiezioni che ci salgono alla mente non siano altro che il nostro istintivo metterci sulla difensiva di fronte a una visione che ci mette a disagio… perché non si tratta di compiere estrinseche azioni che non incidono sulla nostra vita (come dare due monete fuori di chiesa o fare una donazione a Natale), ma si tratta di coinvolgersi con l’umanità sofferente (e non necessariamente santa).

La fame altrui, così come la sete, l’estraneità, la nudità, la malattia, la carcerazione altrui ci fanno paura: perché evocano la possibilità della nostra fame, della nostra sete, della nostra estraneità, della nostra nudità, della nostra malattia, della nostra privazione della libertà.

Ci fanno paura perché la sofferenza altrui disturba la nostra interiorità, perché non sappiamo come si potrebbe comportare un affamato (o come ci potremmo comportare noi da affamati…).

Uscire dalla nostra confort zone per coinvolgerci con la sofferenza altrui (che vuol dire con la sua puzza, con la sua poca igiene, con i suoi lamenti, le sue ferite, le sue durezze…) fa fare fatica.

Eppure, pare dire Gesù, non c’è niente che ci fa più umani che riconoscerci nell’umano.

Far finta di non essere come loro è la grande illusione che ci fa perdere.

Che ci fa perdere la verità.

L’umanità.

La pienezza.

Leggi anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *