La settimana scorsa abbiamo ripreso la lettura del vangelo di Matteo nel suo punto di svolta: quando Gesù chiede ai discepoli e alle discepole cosa la gente e, poi, loro stessi/e, pensino di lui.
Da quel momento, Gesù inizia a parlare loro apertamente della sua morte.
Sono tre gli annunci della passione che i sinottici riportano.
Quello che leggiamo oggi è il primo.
Gesù è appena stato identificato da Pietro come il Cristo e il Figlio di Dio (lo abbiamo sentito nel vangelo di domenica scorsa) e ha reagito a quel riconoscimento con gratitudine: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli».
Addirittura ha fatto seguire alla professione di fede di Pietro, la sua: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».
Questo potente dialogo, in cui – reciprocamente – Gesù e Pietro si dicono chi sono l’uno per l’altro, coinvolge, anche noi che leggiamo, in un’atmosfera di profonda intesa e intimità.
E, tuttavia, la “magia del momento” si rompe nel versetto successivo (quando comincia il brano odierno).
Forse proprio per la sensazione di essere stato compreso, Gesù ha, infatti, fatto un passo ulteriore di svelamento (un po’ come facciamo noi nelle nostre relazioni importanti: quando ci sentiamo accolti/e e capiti/e, osiamo mostrare un po’ più a fondo noi stessi/e): «Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Questa volta, però, Pietro non comprende: «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”».
Questa incomprensione, suscita la reazione di Gesù.
L’atteggiamento di Pietro gli è d’inciampo. “Inciampo” non nel senso che Gesù è infastidito, ma nel senso letterale: è come uno sgambetto. In un percorso già complicato (come sempre è la vita), Gesù sente che chi pensava dalla sua parte, lo sta, invece, ostacolando. Per di più perché gli vuole bene.
L’ostacolo sta nel fatto che Pietro non sta pensando «secondo Dio, ma secondo gli uomini!»
Il pensiero degli uomini è che Gesù si debba salvare la vita, a costo di rinunciare a se stesso.
Il pensiero di Dio (e di Gesù) è che è più importante essere se stessi fino in fondo, anche a costo della vita.
Credo che questo sia il centro del vangelo di oggi.
Chiedersi cosa davvero sia fondamentale nella vita. Cosa è così importante, da essere disposti/e a rinunciare alla vita stessa?
La domanda è implicita nel testo.
Dopo ogni annuncio di passione, infatti, Gesù introduce una parola sul discepolato: Gesù ci mostra la sua scelta (è più importante salvare se stessi – la verità più intima di se stessi – che la propria vita) e – allo stesso tempo – ci chiede cosa vogliamo fare noi.
In maniera onestissima, dichiara: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà».
Gesù non vuole ingannare nessuno/a: chi vuole seguirlo, deve sapere che si tratta di qualcosa di serissimo in cui c’è in gioco la vita e la verità della propria intimità più profonda.
C’è in gioco un “perdere”.
Certo, accompagnato da una promessa: «Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà».
Attenzione, non nell’aldilà, ma nell’aldiquà.
Chi si mette a seguire Gesù, perderà qualcosa e troverà qualcos’altro.
La domanda con cui vorrei concludere non è però “Cosa siete disposti a perdere e/o cosa pensate di trovare con il vangelo?”, ma “Cari/e credenti, cosa avete perso e cosa avete trovato al seguito di Gesù?”.