Domenica si celebra la solennità del corpo e sangue di Cristo.
Il vangelo che ci viene proposto è un passo del discorso di Gesù – in Giovanni – sul pane di vita.
La relazione corpo-pane e sangue-vino è costitutiva per il cristianesimo, anche se – nonostante si tratti di binomi noti a chiunque – la Chiesa è stata spesso associata (comprensibilmente) a visioni negative sulla corporeità.
Non voglio addentrarmi nel perché e nel “percome” riguardo a come ciò sia accaduto, perché mi interessa molto di più tornare sulla significatività del rapporto che Gesù ha istituito tra il suo corpo e il pane.
Il valore simbolico di quest’ultimo è evidente: quante volte abbiamo sentito espressioni tipo “la matematica è il mio pane quotidiano”, “il lavoro è il mio pane quotidiano”, e così via…
Che qualcosa sia il nostro “pane quotidiano” significa che quella cosa è ciò che siamo abituati a fare, ciò in cui siamo esperti, ciò che ci piace fare, ciò che riempie le nostre giornate e struttura le nostre esistenze …
Proprio come il pane – appunto – che nutre i nostri corpi e permette loro di continuare a vivere.
Il farsi pane di Gesù va proprio in questa direzione.
Lui – che ha inteso la sua missione come rivelazione di Dio – ha trovato che il modo migliore di far conoscere il Padre fosse proprio usare l’immagine del pane: più precisamente, l’immagine del mangiare il pane.
A un’umanità convinta che Dio fosse lontano, imperscrutabile, temibile, Gesù ha proposto il volto di un Dio vicino (così vicino da essere dentro di noi, come il pane che mangiamo, che diventa un tutt’uno con ciò che noi siamo); un Dio familiare (così familiare da essere quotidiano, proprio come il pane, presente non solo nei momenti eccezionali – santi – ma in quelli profani, abitudinari, laici); un Dio disarmato (che è disposto a farsi “mangiare” e che non vuole “mangiarci”).
Questo modo di essere di Dio è stato incarnato da Gesù in maniera esemplare nell’ultima cena e nella morte di croce, ma non è qualcosa di circoscrivibile a questi due episodi: tutta la vita di Gesù è stata un proporsi come vicino, familiare, disarmato. E l’ha fatto nell’unico modo in cui – da umani – si può essere vicini, familiari, disarmati: con il corpo.
Ecco perché è così grave che la Chiesa abbia disprezzato questa dimensione del nostro esistere: perché – a nostra volta – se vogliamo essere nella medesima dinamica di Dio, non possiamo che starci vicini coi corpi, far diventare i nostri corpi familiari tra loro, disarmandoci dalla voglia di mangiare gli altri…