Nel lungo percorso che la Chiesa ci fa fare in questo tempo di Pasqua per approfondire il tema della risurrezione, il brano di oggi sposta l’attenzione dalla risurrezione di Gesù alla nostra.
Il brano di vangelo proposto, infatti, contiene la frase forse più esplicita di Gesù sul nostro destino: «Vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi».
Cosa tutto ciò voglia dire ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro: Gesù sta dicendo che alla fine della storia risorgeremo? O sta dicendo che nel momento della nostra morte personale saremo con lui?
Una cosa appare certa: nelle sue parole – quale che sia la concretizzazione che immaginano – è insita una promessa, una promessa di vita.
Esse contengono, però, un paradosso: se, infatti, nella prima parte della frase sembra che l’azione di portarci dove lui è sia propria di Gesù («vi prenderò con me»), nella seconda ci viene ricordato che «del luogo dove io vado, conoscete la via», quasi che fosse nelle nostre possibilità raggiungerlo.
Ma – se questo non bastasse – alla domanda di Tommaso («Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?»), Gesù risponde: «Io sono la via, la verità e la vita».
Cioè, per raggiungere il luogo in cui lui sta andando (la «casa del Padre» dove «vi sono molte dimore»), la via da seguire è lui stesso. Gesù – dunque – si sta proponendo come meta e via allo stesso tempo.
Tra l’altro – nel prosieguo del discorso – la meta viene a coincidere anche con il Padre («Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»).
Per provare a capire questo intreccio di vie e di mete, è forse utile lasciare la logica aristotelica e provare ad adottare un altro approccio, chiedendoci, per esempio, se ci viene in mente qualche altra situazione in cui via e meta possono coincidere o in cui una meta ne dischiude anche un’altra.
Io ho pensato che nelle relazioni importanti della nostra vita, in effetti, è un po’ così: la via per raggiungere una persona nel profondo è proprio la persona stessa. È solo stando con lei, spendendo tempo, facendo le cose insieme, chiacchierando, condividendo pezzi di vita, che si arriva a lei.
E d’altra parte, entrare intensamente in relazione con qualcuno/a dischiude sempre un mondo che va oltre la persona stessa: essere introdotti nell’intimità di qualcuno/a vuol dire scoprire le tante altre relazioni che fanno sì che quella persona sia proprio quella.
Da questo punto di vista credo che il brano di vangelo – apparentemente paradossale e lontano dalla logica formale – trovi senso.
Gesù sta proponendo di entrare in relazione con lui, una relazione che è via per arrivare alla sua intimità e, così facendo, scoprire il “suo mondo” relazionale. In primis la sua relazione col Padre, ma non solo. Anche la sua relazione con tutte le altre persone che fanno sì che lui sia ciò che è.
In questo modo anche il resto del brano trova una sua collocazione: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste».
Com’è possibile compiere opere più grandi di quelle di Gesù stesso?
È possibile perché entrando nel suo mondo relazionale, entreremo in contatto con le persone che compongono la sua rete di relazioni e una rete fa molto più che un amo.