Ciò che ogni anno mi stupisce – e so di averlo già detto più volte – è che nel vangelo della domenica di Pasqua non si parla della risurrezione di Gesù, né tanto meno si parla di Gesù risorto.
Tutta l’attenzione è rivolta ai passi di avvicinamento alla scoperta e alla comprensione di quell’evento.
Il primo personaggio che entra in scena è Maria di Magdala, indubbiamente una delle persone più vicine a Gesù, forse la più vicina.
Tant’è che è lei che – secondo l’evangelista Giovanni, da sola – va alle prime luci dell’alba al sepolcro.
Gesù era morto il venerdì.
Per più di 24 ore nessuno aveva potuto fargli visita. Infatti, dopo la sepoltura era sopraggiunto il giorno di sabato, giorno in cui gli Ebrei non possono fare alcun lavoro.
Maria ha dovuto, dunque, aspettare la domenica mattina.
Ma appena le è stato possibile, «quando era ancora buio», era andata al cimitero.
Solo che – una volta arrivata – ha trovato «che la pietra era stata tolta dal sepolcro».
La sua prima reazione è quella di correre da Simon Pietro e dal discepolo che Gesù amava per dirgli: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Il suo primo pensiero non è, dunque, che Gesù sia risorto.
Il suo primo pensiero è che qualcuno abbia rubato il corpo della persona che lei amava.
Chiunque di noi abbia vissuto un lutto importante, sa quanto l’idea che il corpo della persona amata possa essere vilipeso, sottratto, trafugato può essere devastante…
C’è, però, una cosa che mi ha colpito della reazione di Maria: corre da Pietro e dal discepolo amato.
Mi ha colpito, perché mi sono chiesta: se fosse successo a me, da chi sarei corsa?
È una domanda che vi giro: voi da chi sareste corsi/e?
Chiederselo, serve a capire il tipo di relazione che intercorre tra Maria, Pietro e l’altro discepolo.
Io – credo – sarei andata (o avrei chiamato) le persone a me più care, qualcuno di fidato da cui ricevere consiglio e sostegno…
Ebbene, lei lo fa con queste due persone.
Ciò vuol dire che all’interno del gruppo creato da Gesù – in questo momento così sfilacciato, smarrito e sperso – ci sono però delle relazioni forti, che man mano si ricompongono e rinsaldano, tanto da diventare poi il germe della chiesa nascente.
Troppo spesso, mi pare, ci si scorda si questa dimensione relazionale del vivere la vita e la vita di fede. Senza gli altri, semplicemente non saremmo…
In un mondo che ci suggerisce sempre più la via individualistica, forse è giunto il tempo di riproporre una prospettiva comunitaria.
So che dire “prospettiva comunitaria” a molti/e fa venire l’orticaria, perché abbiamo sempre sentito parlare della “comunità” in riferimento o ai tossicodipendenti o alle suore. E anche quando si trattava di “comunità ecclesiale”, l’idea era quella di persone sconosciute radunatesi “solo” per la messa.
Ma forse è ora anche di riscattare questa parola, ripartendo a fare comunità da quei due o tre nomi che ci sono venuti in mente quando ci siamo chiesti “Da chi sarei andato se avessi trovato aperta la tomba di una persona amata?”.
Il mio augurio per Pasqua è quello di curare quei piccoli gruppetti umani che sono la nostra comunità relazionale… perché diventino sempre più luoghi di risurrezione.