Con il vangelo di questa domenica continuiamo la lettura del discorso della montagna che la liturgia ci ha fatto intraprendere in queste settimane.
Il brano di oggi potrebbe essere diviso in due parti: la prima è quella introduttoria e fa riferimento al compimento della Legge; la seconda è quella che ne reintrerpreta alcuni precetti.
La questione di fondo è, dunque, il rapporto che c’è tra l’annuncio evangelico di Gesù e l’antica Legge del popolo ebraico: si tratta di continuità o di discontinuità?
In altre parole: in cosa consiste la novità di Gesù? Quale radicalità le va attribuita?
Prima di procedere è importante ricordare che siamo nel vangelo di Matteo il quale scrive per una comunità cristiana di origine ebraica: i cristiani a cui lui si rivolgeva erano dunque tutti di cultura, formazione e tradizione ebraica. Si tratta di persone che conoscono molto bene la Legge e che non hanno rinunciato alla loro “ebraicità”. Anzi, si sono fatti battezzare proprio perché convinti che Gesù fosse il messia atteso dagli Ebrei!
Questo può aiutarci a capire la parte introduttiva del testo odierno che alle “nostre orecchie moderne” può suonare strano: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».
Sono parole che ci suonano strane perché noi abbiamo conosciuto una Chiesa che non segue tutti i precetti antico-testamentari e che ha scelto di considerare tutti gli insegnamenti legati agli usi e ai costumi dell’ebraismo antico qualcosa di non necessario per accedere alla fede in Gesù. Questa evoluzione della Chiesa non è cosa recente. Si tratta, infatti, di un passaggio avvenuto già in epoca apostolica e attestato dal Nuovo Testamento (in particolare negli Atti degli apostoli, cap. 15).
Nelle parole di Matteo, dunque, possiamo rintracciare un’eco delle tensioni fra le comunità cristiane di origine giudaica e quelle di origine pagana. L’evangelista vuole, infatti, rassicurare i suoi circa il fatto che essere cristiani non voglia dire non essere più Ebrei.
Allo stesso tempo, però, Matteo nella seconda parte del brano, mette in chiaro che – pur nella continuità – l’annuncio di Gesù è qualcosa di nuovo, che compie la Legge antica e, in un certo senso, la radicalizza, invitando così a un nuovo modo di pensarsi come uomini e donne su questa terra: la giustizia di scribi e farisei va, infatti, superata.
Le norme anticotestamentarie che vengono rilette alla luce della parola di Gesù sono: “Non uccidere”, “Non commettere adulterio”, “Non spergiurare”. I primi due riguardano il rapporto tra umani, il terzo il rapporto con Dio.
Nei primi due, le parole di Gesù mettono in luce come quei comandamenti non vadano presi in senso formale (per cui basterebbe non uccidere fisicamente qualcuno per “essere a posto” o non tradire la propria moglie per “essere a posto”). Essi vanno indagati nel loro senso più profondo, come se fossero i macro-descrittori di un nuovo mondo relazionale: perché non ci si deve uccidere tra esseri umani? Perché non ci si deve tradire? Non per un dovere per il dovere, ma perché è possibile accedere a un livello di umanità in cui ci si riconosce, rispetta, custodisce come esseri umani, appunto. L’altro/a è un essere umano come me, è figlio/a di Dio come me, è un altro – un’altra me. Ecco perché posso vivere con lui, con lei come con un altro soggetto, non come con un oggetto. Piuttosto che indicare nuovi precetti, le parole di Gesù aprono a un modo nuovo di guardarsi e considerarsi tra persone.
Allo stesso modo, il comandamento sullo spergiuro non vuole far sì che si evitino nominalisticamente alcune espressioni linguistiche, ma vuole collocare nella giusta prospettiva il rapporto col Signore… in particolare sottolineando come la creatura non sia il creatore («non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello») che è la grande illusione in cui spesso l’essere umano cade, aprendo la strada a infiniti soprusi… sugli altri/le altre, sulla natura, su se stessi… arrivando, così, a tradire il senso stesso della Legge.