Ne L’ideologia tedesca leggiamo: «Il vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l’abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni; la produzione della vita materiale stessa […] che ancora oggi, come millenni addietro, deve essere compiuta ogni giorno e ogni ora semplicemente per mantenere in vita gli uomini».
Con queste parole, Marx voleva dire qualcosa di molto semplice: l’essere umano – come ogni altro essere vivente – è primariamente ricerca di ciò che lo mantiene in vita. Prima di ogni altra cosa, vi è la sopravvivenza.
È un concetto che nella nostra società ricca per diverso tempo abbiamo un po’ perso di vista, dando per scontato che il livello della sussistenza fosse assodato e potessimo così dedicarci a tutto il resto: l’accumulo, lo svago, la riflessione, il tempo libero…
In realtà, anche da noi, sempre più persone si trovano a dover fare i conti con “l’arrivare a fine mese”; sta tornando ciò che in altre zone del mondo non è mai venuto meno: il problema dell’avere da mangiare, da bere, una casa, i vestiti, il materiale scolastico, un modo per spostarsi…
Sono dinamiche che ci portano dritti alla questione che pone il vangelo di questa domenica: Cosa conta veramente nella vita?
Perché – se siamo d’accordo con Marx nell’affermare che c’è un primo livello di sopravvivenza da soddisfare – è anche vero che esso pare non bastare a dare senso all’esistenza umana.
Anzi, anche quando la nostra società pareva aver risolto il problema della sussistenza (almeno per i più), non ha mostrato di essere felice, compiuta, appagata.
Ciò fa pensare che all’imprescindibile necessità di sopravvivere, vada aggiunto qualcos’altro perché una vita possa dirsi davvero umana.
La domanda diventa dunque cosa è questo qualcos’altro.
Il vangelo chiarisce in maniera netta che esso non può essere l’accumulo dei beni.
L’accumulo dei beni, infatti, se da un lato rassicura per il futuro e garantisce per anni la tranquillità di avere di che vivere, non può essere il senso ultimo dell’esistenza.
Rassicura per il futuro? Ma cosa vogliamo farci con questo futuro?
Garantisce tranquillità? Ma una tranquillità che ci permette di fare cosa?
Questo è il punto.
Ecco dunque la contraddizione che il vangelo mette a nudo: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?».
Gesù vuole provocare le persone che lo ascoltano a chiedersi per cosa valga la pena darsi da fare, impegnare le proprie energie e il proprio tempo.
L’espressione che usa per dire la sua verità è “arricchirsi presso Dio”, un’espressione che io trovo bellissima, a patto che non venga fraintesa.
Non si tratta di accumulare meriti, per avere l’accesso garantito in paradiso: Dio, l’abbiamo ripetuto tante volte, non ha le fattezze di un contabile. È piuttosto una mamma che ama a prescindere dai meriti e che, anzi, forse ha sempre più presenti nel cuore i figli e le figlie che hanno più bisogno.
“Arricchirsi presso Dio” credo voglia dire accumulare, fare propria, diventare ricchi/e della logica di Dio, della sua essenza, del suo spirito, che è l’amore.
“Arricchirsi presso Dio” vuol dire allora dedicare tempo ed energie per diventare sempre più bravi/e nell’arte dell’amare; diventare sempre più amanti, amanti della vita, amanti della gente, amanti di questo mondo.
Troppo volte diamo per scontato che l’amore sia qualcosa di naturale, istintivo, qualcosa che sappiamo già fare. Ma, come per tutte le cose umane, anche ad amare si impara, ci si affina, si sbloccano livelli nuovi…
Credo debba diventare il nostro obiettivo quotidiano: svegliarsi e crescere nell’amore.