La colpevolizzazione è uno degli “sport” preferiti dagli esseri umani…
La pagina di vangelo di questa domenica ce ne presenta un esempio lampante.
Si tratta del famoso testo che narra di Marta e Maria, l’una indaffarata nella “diaconìa” (nel servizio) e l’altra seduta ai piedi di Gesù mentre lo ascolta parlare.
Marta, vedendo la scena, prova probabilmente invidia per la sorella (vorrebbe essere al suo posto), ma, invece che lasciare le sue occupazioni e sederle accanto, tenta di toglierle il “bene” (vuole farla alzare).
Non le si può dare nemmeno il beneficio del dubbio e pensare che, magari, avesse davvero bisogno di un aiuto, perché il modo in cui si esprime, la tradisce.
Non si rivolge, infatti, direttamente a Maria, chiedendole – per esempio – di darle una mano, ma, facendo come se lei non ci fosse, chiede a Gesù di rimproverarla, per averla lasciata sola nel servire.
Anzi, è più sofisticata ancora e riesce in un colpo solo a colpevolizzare sia la sorella, sia Gesù stesso, perché le parole che pronuncia sono: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».
L’una è dunque accusata di non aiutare, l’altro di non interessarsi di lei, rimasta l’unica a faticare.
Ma la colpevolizzazione funziona solo se riesce a scatenare nell’accusato il senso di colpa.
Gesù, invece, non abbocca perché ha la capacità di non farsi condizionare dalla lettura della situazione che fa Marta.
Lui guarda la medesima scena che guarda lei, ma l’interpretazione che ne dà è diversa: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Marta legge la realtà che ha davanti vedendo sua sorella che non l’aiuta e Gesù che si disinteressa di lei.
Gesù vede una donna che si affanna e l’altra che ha scelto di fare la cosa migliore: stare con lui.
Questione di punti di vista?
Per un certo verso sì: Marta guarda la realtà a partire da se stessa (non riesce per esempio a gioire del bene che capita alla sorella); Gesù, invece, guarda la realtà a partire da cosa è bene per le persone coinvolte.
Ma, oltre ai diversi punti di vista, forse in gioco vi è anche la solidità interiore degli astanti.
Chi colpevolizza, infatti, solitamente è qualcuno che non è in grado di rendersi conto del proprio disagio, non sa farvi fronte in maniera costruttiva, mettendosi in discussione e agendo soluzioni creative.
Ma anche chi si lascia colpevolizzare manifesta poca solidità: non sa rendere ragione della sua posizione, delle sue scelte, del suo modo di essere, martoriandosi nel dubbio di fare / essere sbagliato.
Chissà se Maria si è sentita in colpa? Di lei non è riportata nemmeno una parola. Avrebbe reagito in maniera remissiva o aggressiva? Poco importa: entrambi gli atteggiamenti sono infatti figli del senso di colpa…
Gesù, invece, qui – come d’altronde in tutto il resto della sua storia – manifesta una grande solidità: non colpevolizza e non si fa colpevolizzare, perché non cerca fuori di sé il consenso. È sicuro di ciò che è e di ciò che fa.
Peccato che la Chiesa non abbia seguito le orme del suo maestro e – nel corso dei secoli – abbia appoggiato il suo annuncio, non sulla certezza della sua solidità intrinseca, ma sul meccanismo della colpevolizzazione… che ha condannato un sacco di persone a vivere male e, quel che forse è peggio, a far credere che il messaggio che aveva da trasmettere non fosse in grado di rendere ragione di se stesso.