Ogni evangelista ha il suo modo di narrare gli eventi successivi alla domenica di Pasqua.
Non tutti raccontano le medesime apparizioni del risorto e – se anche alcuni brani si richiamano – le storie sono diverse.
Per esempio questo testo di Giovanni è un unicum.
L’evangelista inframmezza un commento: «Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti».
Le altre due erano quelle che abbiamo ascoltato domenica scorsa, una avvenuta il giorno di Pasqua – in assenza di Tommaso – e l’altra, otto giorni dopo – con Tommaso presente.
In realtà, nel vangelo di Giovanni è raccontata anche l’apparizione a Maria di Magdala, ma forse il conteggio dell’evangelista faceva riferimento solo alle apparizioni al gruppo dei discepoli, non ai singoli, anzi a una singola.
Ad ogni modo, la cosa più interessante è che tutti gli incontri precedenti erano ambientati a Gerusalemme, mentre questo avviene in Galilea, «sul mare di Tiberìade».
Per comprendere questa collocazione, non basta fermarsi al vangelo di Giovanni (che ha una struttura tutta sua), ma bisogna avere nelle orecchie anche i sinottici.
Quello che noi chiamiamo “vangelo di Giovanni” è infatti l’ultimo ad essere stato scritto tra i quattro vangeli canonici e quindi, nello scrivere il suo testo, Giovanni ha presente gli altri tre (e in qualche modo dà per scontato che anche i cristiani li abbiano presenti).
Dico questo perché sapere che i discepoli non sono più a Gerusalemme, in Giudea, ma in Galilea, sul lago, dovrebbe farci venire in mente che in Mt 28,10, Gesù risorto aveva detto alle donne che si erano recate al sepolcro la mattina di Pasqua: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Forse i discepoli erano lì per questo?
O perché sono tornati al punto di partenza?
Sempre i sinottici ci narrano che è proprio sulle rive di quel lago che Gesù li aveva chiamati e li aveva invitati a seguirlo e a diventare pescatori di uomini…
Solo che ora sono lì, ma non pescano uomini…
Hanno ripreso a pescare pesci…
Senza nemmeno una gran fortuna…
Finché un tale, che loro non riconoscono, non dice qualcosa di strano («Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete»).
Qualcosa di strano (non si pescava in quel modo), a cui però comunque loro danno credito («La gettarono»).
E così avviene qualcosa («non riuscivano più a tirar su [la rete] per la grande quantità di pesci»), che – nuovamente – dovrebbe farci venire in mente un altro vangelo: «“Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano» (Lc 5,5-6)
Loro fanno le stesse cose di allora… Gesù fa le stesse cose di allora…
E così… si riconoscono: «Quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”».
È a questo punto che si apre la seconda parte del vangelo di questa domenica, fatta anch’essa di elementi strani.
Innanzitutto i discepoli, «appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane». Quindi il pesce c’era già. Eppure Gesù dice: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora».
Forse quello che c’era già non bastava…
O forse a Gesù faceva piacere che ci fosse un po’ del suo e un po’ del loro…
Poi c’è quello stranissimo (e bellissimo) dialogo personale tra Gesù e Pietro (che però qui Gesù chiama “Simone”, come lui si chiamava prima di conoscerlo).
Questo testo sembra un continuo rimando tra il prima e l’adesso…
Anche il fatto che per ben tre volte Gesù ponga a Pietro la stessa domanda (anche se le prime due volte usando il verbo “amare” e l’ultima il verbo “volere bene”, per seguire proprio il verbo che Pietro continua a usare nella risposta: «tu sai che ti voglio bene»), sembra richiamare i tre rinnegamenti del venerdì santo.
Questa è l’ultima pagina del vangelo di Giovanni… che, con questo continuo richiamo tra il passato e il presente, vuole inaugurare il futuro… per i discepoli sta per sbocciare un nuovo inizio, senza la presenza in carne e ossa di Gesù… ecco perché la strada, sebbene non ancora percorsa, viene però intravista, tratteggiata a partire dal passato: bisogna ripartire come si era partiti la prima volta, seguendo l’intuizione della prima volta, seguendo il percorso intrapreso la prima volta.
Non a caso, il brano finisce con quel: «Seguimi».
L’invito finale del vangelo di Giovanni, allora, anche per noi, può essere quello di ripartire (in modo nuovo) sulla via già tracciata.