Il vangelo della domenica successiva alla Pasqua è molto conosciuto: si tratta del racconto dell’apparizione di Gesù ai discepoli, avvenuta proprio il giorno della risurrezione.
Di questo momento così importante, ciò che viene sottolineata è l’assenza dell’apostolo Tommaso, il quale – ricevuta dagli altri la notizia dell’incontro con il risorto – si mostra scettico.
Il brano allora prosegue raccontando un seconda apparizione di Gesù ai discepoli, otto giorni dopo, cioè la domenica successiva.
Stavolta Tommaso è presente ed esclama «Mio Signore e mio Dio!», accedendo così anch’egli alla fede nella risurrezione.
La risposta di Gesù, però, pare un velato rimprovero: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Proprio quest’ultimo elemento del testo (la risposta finale di Gesù a Tommaso) ha alimentato, nei secoli, una certa squalificazione di Tommaso, che seppure è e rimane un apostolo ed è – ovviamente – venerato come santo dalla Chiesa, è diventato sinonimo di “scettico”, “diffidente”, insomma, non uno tutto d’un pezzo che ha creduto, subito, immediatamente, senza ombra di dubbio.
In più, per tutte le generazioni successive è diventato quasi un elemento di rivalsa: noi che pure non abbiamo potuto vedere Gesù, crediamo! Non come san Tommaso… (con il sottinteso: abbiamo una fede più grande/migliore di quella di un apostolo!).
Io non credo che questo sia un buon modo per leggere questo vangelo e non credo nemmeno che lo screditamento di Tommaso (per esaltare, per converso, la fede delle generazioni successive di cristiani) fosse lo scopo del suo redattore.
Io credo che questo testo sia nato dall’effettivo problema della fede nella risurrezione, sorto soprattutto con il passare degli anni, man mano che ci si allontanava dal momento in cui gli eventi legati alla vita di Gesù si erano svolti.
Come dicevamo settimana scorsa, la fede nella risurrezione si basa su segni deboli, non sulla forza della certezza e dunque il vero problema, per chi non era lì, diventa: come posso credere alla risurrezione di Gesù? Non ho visto il sepolcro vuoto, non ho ricevuto nessun annuncio di angeli, ma soprattutto non ho incontrato lui risorto.
I discepoli della seconda generazione cristiana (quelli che non hanno conosciuto direttamente Gesù) e tutte le generazioni successive avevano e hanno questo problema e, guarda caso… è proprio la medesima situazione in cui il vangelo colloca Tommaso.
Tommaso, quindi, più che un personaggio da biasimare, dovrebbe essere quello in cui massimamente identificarci: rappresenta tutti gli assenti di quel giorno di Pasqua.
A noi hanno insegnato a credere, a non avere dubbi; i dubbi erano considerati segnali di poca fede… e così – per paura di essere tacciati come uomini/donne di poca fede – abbiamo preso Tommaso, lo abbiamo fatto diventare uno zimbello, abbiamo stabilito di non essere come lui e quindi abbiamo smesso di avere dubbi e di farci domande.
Risultato? La nostra fede è rimasta cieca, strettamente legata alla paura e animata dalla supponenza di chi ha deciso che una cosa “è così e basta!”.
Serve, dunque, a mio avviso, un nuovo approccio, che finalmente dica che credere alla risurrezione non è così scontato, che non basta autoconvincersi di una cosa perché quella sia vera, che non abbiamo nessuna certezza… che – in fin dei conti – Tommaso non aveva tutti i torti.
Ecco, se riuscissimo davvero a collocarci nel personaggio Tommaso, a lasciar spazio ai suoi e nostri dubbi, a sperimentare dentro di noi quanto avesse ragione nel reagire così… allora saremmo nella condizione migliore per ricevere l’annuncio evangelico.
Esso infatti ha questa scansione: buona notizia – incredulità – indagine – scoperta dell’affidabilità di chi porta la buona notizia – iniziale credito di fiducia concessogli – approfondimento – (eventuale) fede.
Facciamo un esempio: Gesù annuncia un Dio che non punisce – e chi ci crede? – però questo Gesù mi è piaciuto, cerco di saperne di più – porca miseria, ma è morto per quello che diceva – questo lo rende credibile – fammi approfondire meglio…
Noi invece abbiamo abbreviato il percorso: questa è la buona notizia; è così e basta; se non ci credi, andrai all’inferno; vedi tu…
In questo senso la frase di Gesù «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!», non vuol dire “Beati quelli che ci credono e basta” (come nel percorso 2), ma “Beati quelli che pur non essendo stati presenti in carne ed ossa durante lo svolgersi di questi eventi, accederanno alla fede seguendo il percorso evangelico” (percorso 1).
Ciò che questo vangelo vuole dirci è che chi non ha visto Gesù in carne ed ossa, non è condannato a una fede di serie B (a una fede infantile, come da percorso 2), ma può accedere alla fede matura (percorso 1) esattamente come chi è stato contemporaneo di Gesù.
L’importante è lasciar spazio ai dubbi, indagare, approfondire e (magari) scoprire che chi ha portato la buona notizia è affidabile e, perciò degno di fede.