A partire da questa domenica, ci inoltriamo nella vita adulta di Gesù.
In particolare in quegli anni in cui Egli si propone pubblicamente sulla scena del mondo, uscendo dall’oscurità e dall’anonimato in cui aveva vissuto fino a quel momento.
L’episodio che inaugura questa nuova fase della sua esistenza avviene quando ha circa trent’anni e si concretizza nell’andare da Giovanni Battista a farsi battezzare.
È questo l’episodio inaugurale della cosiddetta “vita pubblica” di Gesù.
Un episodio che l’evangelista Luca ci narra, tratteggiandolo con toni da investitura: «Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”».
Da questo momento in avanti inizierà la “missione” di Gesù, cioè far conoscere Dio agli uomini.
Di fatti, Egli – prima in Galilea e poi fino in Giudea – attraverso gesti, parole, incontri, prese di posizione, ecc… proverà a spiegare alle persone chi è Dio.
Il battesimo al Giordano, dunque, per come ce lo racconta Luca, è una sorta di investitura alla vigilia della partenza per la missione: un incipit che potrebbe assomigliare a quello di tante avventure.
Ma la cosa che mi ha colpito è che nelle parole di quella che abbiamo chiamato “investitura”, in realtà non vi è nessun cenno alla missione: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Si tratta più che altro di una dichiarazione di identità – di un’identità relazionale – («Tu sei il Figlio mio») e di una dichiarazione d’amore («Tu sei l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»).
Questa cosa mi ha fatto pensare che, in effetti, Gesù non aveva “qualcosa” da fare, “qualcosa” da far sapere. La sua missione era far conoscere “qualcuno” (non far conoscere “qualcosa” di “qualcuno”).
E qualcuno lo puoi far conoscere solo se lo conosci tu stesso («Tu sei il Figlio mio») e se trasmetti quella relazione che ti lega a lui, relazionandoti ad altri.
Tutta la sua storia è la storia del suo rapporto col Padre che si trasmette attraverso i suoi rapporti con le altre persone.
Solo così “passa” qualcuno a qualcun altro.
Ecco perché il vangelo è intrinsecamente relazionale.
Non lo si può trasmettere da una cattedra o da un pulpito, ma solo entrando in relazione, vivendo i rapporti, intessendo amicizie.
L’amore lo si conosce solo essendo amati e lo si trasmette solo amando.
È con questo pensiero nel cuore che vi auguro un buon anno di relazioni amorose.
1 commento
Mi piace particolarmente questo tuo commento. Per il linguaggio sempre piano e perchè ti accompagna al cuore del messaggio di questa festa e anche del vangelo, che sta tutto dentro una relazione di amore del Padre in cui il Figlio, e noi con lui, si riconosce e scopre la sua missione.
Bello e grazie!