Questa settimana, la liturgia ci presenta nuovamente la figura di Giovanni Battista e – come domenica scorsa – si usano le sue parole “retrodatandole”.
Giovanni infatti, nel testo che ci viene proposto – sta parlando di Gesù («vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco») ormai adulto.
Siamo appena prima dell’inizio della vita pubblica di Gesù, quando Egli – ormai trentenne – inizierà la sua predicazione in Galilea, dopo il battesimo al Giordano.
Eppure il liturgista inserisce anche questo testo nel periodo dell’avvento, cioè come brano utile per prepararsi al Natale.
Da un lato questo avviene perché i testi riguardanti la nascita di Gesù e i mesi precedenti sono pochi e vengono usati nell’imminenza del Natale e durante le messe del Natale stesso.
Dall’altro, però, il motivo è che si vuole inquadrare la nascita di Gesù alla luce del senso più complessivo della sua vita: la nascita dei personaggi importanti della storia, diventa interessante (da raccontare) perché – da adulti – essi sono diventati “qualcuno” che vale la pena ricordare (e quindi narrare).
In questo senso, l’attesa che si respirava al tempo di Giovanni Battista, viene appunto “retrodatata” e adattata alla nascita di Gesù.
Le aspettative a suo riguardo ci vengono proposte mentre ci prepariamo a ricordare il suo prendere carne su questa terra.
Domenica scorsa ci siamo interrogati su quali fossero le nostre aspettative rispetto al Natale che viene, rispetto a Dio e al nostro rapporto con Lui; oggi leggiamo le aspettative del Battista rispetto a Gesù.
Nel vangelo di Luca emerge come esse siano sostanzialmente due:
1- «battezzerà in Spirito Santo e fuoco»;
2- pulirà «la sua aia per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Per quanto riguarda la prima aspettativa, bisogna ricordarsi che “battezzare” in greco vuol dire “immergere”. Giovanni Battista si aspetta che Gesù ci immerga nello Spirito Santo, cioè nel suo spirito, nello Spirito di Dio. Si tratterà di un’esperienza che segnerà la nostra carne come il fuoco e non come l’acqua, che scorre e se ne va. Sarà un’esperienza che resterà impressa nella nostra carne, talmente sarà significativa.
Sorge dunque spontanea la domanda, per noi che abbiamo già fatto esperienza del Signore: l’averlo conosciuto ci ha segnato nella carne?
La seconda aspettativa del Battista è quella di un messia che arriverà a tirare i conti: a premiare chi si è comportato bene e a punire chi non lo ha fatto.
È un’aspettativa in cui, credo, ci possiamo riconoscere. Tutti noi abbiamo dentro l’immagine di un dio giudice che, a un certo punto, tirerà le somme della storia (in generale e di ciascuno in particolare). È una prospettiva che ci è familiare, sulla quale si è basata tanta parte della predicazione cristiana sull’aldiqua e sull’aldilà: inferno per i cattivi, paradiso per i buoni; valutazione delle vite in base ai meriti e ai demeriti, cui conseguiranno premi e castighi.
La cosa strana è però che proprio questa aspettativa di Giovanni andrà tradita da Gesù, tanto che a un certo punto Giovanni si chiederà se era proprio lui quello che doveva venire o se dovevano aspettare qualcun altro. Perché ciò che Gesù diceva e faceva contraddiceva continuamente ciò che il Battista si aspettava.
Gesù infatti con il suo amore per i peccatori, per gli emarginati della società, con il suo voler mangiare e bere con tutti (dalle prostitute ai pubblicani), con il suo circondarsi di gente improbabile ha smontato giorno per giorno quella mentalità: Dio non è quello che valuta in base ai meriti e alle colpe, ma che ama ciascuno come un figlio.
E proprio come una madre, più il figlio è un relitto e più gli sta a cuore.
Dal mio punto di vista, la cosa scandalosa è che invece che essere “cristiani”, cioè discepoli di Gesù Cristo, noi – come Chiesa – siamo “battisti”, cioè seguaci della teologia di Giovanni Battista.
Questo nuovo anno liturgico allora può diventare l’occasione per convertirci da una religione “battista” (dei meriti e delle colpe) alla fede (fiducia) in un Dio diverso.
Spesso noi pensiamo che a convertirsi debbano essere gli altri: quelli che non vanno a messa, che non pregano, che non danno le offerte… invece il vangelo di oggi ci dice che quelli che si devono convertire siamo noi, che ci diciamo cristiani, ma siamo “battisti”, che ci riempiamo la bocca di vangelo e moralità, ma continuiamo a dividere il mondo in giusti e sbagliati, ritenendoci giusti e dimenticando che Gesù – se fosse ancora presente in carne e ossa – starebbe banchettando con gli sbagliati.