In questa seconda domenica di avvento, il liturgista “ruba” le parole che l’evangelista Luca ha scritto per annunciare l’entrata in scena di Gesù nella vita pubblica (quando Gesù ha già trentanni) e le adopera per prepararci al Natale.
Il testo è quello in cui si narra la predicazione di Giovanni Battista, che ha capito e vuol far sapere a tutti che qualcosa di decisivo sta per accadere.
Il liturgista prende questo brano e lo colloca in avvento, “retrodatando” l’annuncio e usandolo per la nascita di Gesù.
L’intenzione è quella di “svegliarci”, di farci tirar su la testa dall’immersione nelle occupazioni quotidiane, per farci porre attenzione su quello che di qui a poche settimane andremo a ricordare: un Dio che si è fatto uomo, è entrato nella storia (cioè nello scorrere del tempo) e ha preso corpo, facendosi carne, vulnerabile, mortale.
Questa “sveglia” che suona per noi una ventina di giorni prima di Natale, ha lo scopo di darci il tempo per prepararci.
E come ogni preparazione, anche questa è fatta di attesa, aspettative e accorgimenti vari.
Le domande che si schiudono potrebbero essere simili alle seguenti: Perché prepararsi al Natale? Ha ancora senso, dopo tanti Natali già vissuti? C’è ancora qualcosa che non sappiamo? Qualcosa da pensare?
Io credo di sì, perché come per tutte le altre relazioni, anche quella col Signore non può essere data per scontata. Noi non siamo quelli di un anno fa, di due anni fa, di vent’anni fa e questo non può non incidere nei rapporti che viviamo. Essi crescono e cambiano con noi. Per questo ogni Natale, così come ogni compleanno, ogni anniversario è unico e specifico.
Come dunque prepararsi?
Ognuno ha le sue modalità e i suoi tempi. Ma credo che – in ogni caso – non si possa prescindere dal tornare alla narrazione di quell’evento. Prepararsi al Natale vuol dire tornare ad ascoltare la storia di quella nascita (che è raccontata solo nei vangeli di Matteo e Luca, nei capitoli iniziali) e farsi interpellare da essa: come quando ripensiamo alla nascita dei nostri figli (una storia che abbiamo vissuto e raccontato), alla nostra stessa nascita (una storia che ci hanno raccontato) o alla nascita dei nostri progetti, dei nostri amori, delle nostre amicizie.
Riflettere sulle nascite (anche se molto lontane nel tempo) ci permette di ragionare su come sono andate le cose, cosa sono diventati quei nati, cosa siamo diventati noi, come sono evolute le nostre storie e il loro intrecciarsi.
Lo stesso vale per Gesù: ripensare alla sua nascita, vuol dire considerare chi egli sia diventato, chi sia diventato per noi, chi siamo diventati noi per lui. Con la consapevolezza che entrambi siamo soggetti sempre inesauribili, mai “finiti”, scontati.
Fermarsi a pensare a Lui, a noi stessi, alla nostra relazione, alle nostre relazioni, dà anche la possibilità che si apra lo spazio delle aspettative. Aspettare è sempre un aspettarsi qualcosa.
Sarebbe interessante pertanto anche ragionare su cosa ci aspettiamo da questo Natale, su cosa ci aspettiamo dal Signore di cui ricordiamo la nascita.
Certo, spesso si dice che non bisogna aspettarsi nulla, che non bisogna farsi delle aspettative … perché si teme che esse vadano deluse.
Ma questi consigli di saggezza popolare (che pure hanno la loro ragion d’essere), non possono bloccare il meccanismo ineluttabile delle aspettative: esse si creano nel nostro cuore comunque.
E allora, potrebbe essere un bell’esercizio di preparazione al Natale e di analisi della nostra relazione col Signore, il chiederci cosa ci aspettiamo da Lui e dal nostro rapporto con Lui.