Con oggi inizia il nuovo anno liturgico (C), che si apre – come dicevamo due settimane fa nel nostro “ripassino” – con il tempo di avvento. L’evangelista di riferimento è Luca.
Ed è proprio dal suo vangelo che è tratto il brano di questa domenica. Il testo ci è familiare, perché solo due domeniche fa leggevamo il medesimo discorso di Gesù nella versione di Marco.
Si tratta del cosiddetto “discorso escatologico” composto con un linguaggio “apocalittico”.
“Escatologico” e “apocalittico” sono due parole difficili, quindi vale la pena di spiegarle.
In greco “ta escata” (da cui la parola “escatologico”) sono “le cose finali”, cioè che riguardano la fine, il fine. Per esempio, la parte delle teologia che si chiama “escatologia” è quella che tratta la destinazione finale della vita e della storia.
“Apocalittico” è invece un genere letterario, un linguaggio particolare cui noi non siamo molto avvezzi, perché non è più molto usato, se non, per esempio, nei film di fantascienza. “Apocalisse” significa letteralmente “rivelazione”, non strage o disastro finale, come alcune accezioni contemporanee hanno lasciato intendere. Si tratta cioè di un modo per raccontare la rivelazione di Gesù (cioè la sua missione di farci conoscere Dio) usando immagini e simboli.
Ciò che più di tutto mi interessa far capire è che questi discorsi, questo linguaggio non vanno presi alla lettera, come se stessero descrivendo il futuro, quasi fossero stati composti da un giornalista preveggente. Gli esperti di film di fantascienza ci dicono che essi non stanno raccontando un’avventura del futuro, ma in chiave distopica ci parlano delle dimaniche del presente (le trame dei potenti, gli egoismi e le generosità delle persone, ecc…).
Se ci pensiamo bene, anche noi, quando pensiamo al fututo, lo facciamo per orientare il nostro presente: pensiamo alla vecchiaia e – oggi – mettiamo da parte qualche soldino per non ritrovarci in ristrettezze; pensiamo a che lavoro vorremmo fare e – oggi – studiamo per acquisire competenze; pensiamo a quando i nostri figli saranno grandi e – oggi – cerchiamo di dargli gli strumenti per essere in grado di affrontare la vita.
Il vangelo di questa prima domenica di avvento funziona allo stesso modo: vuole farci pensare al futuro (discorso escatologico), per rivelarci (linguaggio apocalittico) come vivere il nostro oggi.
Le parole di Gesù valevano per i discepoli di allora: il futuro a cui pensare era la morte prossima di Gesù. Questa consapevolezza era rivelativa di come dovevano vivere il loro oggi: «i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso».
Ma erano parole che anche le prime comunità cristiane (che le hanno scritte nei vangeli qualche decennio dopo la morte di Gesù) hanno sentito valide: ogni generazione infatti ha la sua «ansia», «angoscia», «paura» per ciò che accadrà.
Ecco perché queste parole possono avere un senso anche per noi (che pure le sentiamo così lontane dal nostro modo usuale di parlare), perché anche noi abbiamo – in prospettiva – una fine che ci aspetta, un fine nella vita, uno scopo, una speranza.
Questa prospettiva non va rimossa, ma – per quanto possa essere fonte di «ansia», «angoscia», «paura» – va guardata, in modo da saper orientare il nostro presente. In vista della fine / del fine molte cose che il nostro oggi fa risaltare come così importanti, forse non lo sono poi così tanto… mentre altre, che tendiamo a lasciare sempre un po’ in secondo piano o a rimandare, forse, sono un po’ più fondamentali.
Senza dimenticare che il brano di vangelo di oggi, aggiunge anche una parola di Gesù sul nostro presente: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Orientare il presente alla luce del futuro, vuol dire anche avere la lucidità per ascoltare una parola di speranza sul presente e sul futuro: essi hanno insita la possibilità di una relazione con Gesù. Un relazione liberante, che libera dall’«ansia», dall’«angoscia» e dalla «paura», perché ha in sé la promessa «che nulla va perduto della nostra vita, nessun frammento di bontà e di bellezza, nessun sacrificio per quanto nascosto e ignorato, nessuna lacrima e nessuna amicizia» [don Michele Do].
1 commento
Grazie Chiara per farmi iniziare l’Avvento con queste parole che riempiono il cuore di speranza.