Il vangelo di questa domenica (come quello di settimana scorsa) è ambientato a Gerusalemme.
È già dal capitolo 11 del libro di Marco, che Gesù è giunto a destinazione.
Al capitolo 14 inizierà il racconto della passione.
Oggi siamo alla fine del capitolo 12, al tempio, dove, un episodio relativamente ordinario (una vedova povera che getta monete in offerta), diventa l’occasione per riflettere sulla differenza tra una religiosità di facciata, da un lato, e la sincerità del cuore, dall’altro.
Gesù sa bene che la religione, come tutte le costruzioni umane, è uno degli scenari (insieme alla politica e all’economia) per lo scatenarsi di quella che lui chiama “la logica del mondo”, quella della competizione, della rivalità, della lotta per emergere e primeggiare, dell’egoismo e dell’egocentrismo.
Solo che, in ambito religioso, questa “logica” assume un carattere ancora più subdolo, sotterraneo, viscido: il fatto di essere sotto il grande cappello della religione, infatti, fa credere di essere immuni dalla logica del mondo, di essere dalla parte giusta, dalla parte dei giusti.
Tra l’altro è un’illusione a doppio senso: si illudono di essere brave persone coloro che ne fanno parte (specialmente più salgono a livello gerarchico) e si illudono che quelle siano brave persone anche coloro che “da fuori” o “da sotto” le guardano, le incontrano, le vedeno.
Sarebbe fin troppo facile, e sinceramente penoso, trovare dei paralleli nella nostra contemporaneità.
Molti, fra i membri del clero, fra i consacrati e anche fra i laici «amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere».
Questo atteggiamento, seppur inserito nel contesto religioso, è stigmatizzato da Gesù, che gli contrappone l’immagine della vedova che dà tutto ciò che aveva per vivere.
La questione non è “quanto diamo in offerta”, se il superfluo o il necessario, anche perché i denari messi nel tesoro del tempio andavano (anche) ad arricchire quell’apparato religioso, di cui Gesù ha appena parlato in termini così duri.
Il punto è piuttosto la disposizione d’animo della vedova rispetto a Dio, che – nella sua cultura – dimorava nel tempio. Dare tutto ciò che aveva per vivere al tempio è un gesto che dice la fiducia di questa donna in Lui.
Disillusa da una realtà che la relegava ai margini, nella miseria, nell’umiliazione, ella conserva invece la fiducia in quel Dio, che il suo popolo aveva conosciuto come liberatore, creatore, padre.
La contrapposizione messa in luce da Gesù è dunque quella tra la religione e la fede, tra il servirsi di Dio, l’usarlo per “essere grandi”, e il rivolgersi a Lui, instaurare un relazione, affidarvisi.
Nel primo caso Dio non è un interlocutore, non si ha un rapporto con Lui: è solo la scusa per una scalata sociale, proprio come il potere e la ricchezza, che – guarda caso – hanno sempre avuto un vincolo oscuro con la religione.
Nel secondo, invece, si è spogli (nudi) di tutte le costruzioni sociali: si è lì di fronte, ognuno per quello che è… che è l’unica vera precondizione per l’instaurarsi di una relazione sincera.
1 commento
Qs vedova è uno dei personaggi che mi sta a cuore e sempre genera scuotimento! Minl dice il totale affidamento nelle mani di Dio tanto da mettere la propria vita (tutto quanto aveva) e nn pensare che esista davvero altro su cui far affidamento (le ns forze, i soldi, la fama….)