«Quel giorno» di cui parla l’incipit del vangelo di questa domenica è il medesimo di settimana scorsa, ossia quello in cui Gesù (nella ricostruzione di Marco) ha raccontato la parabola del seme che cresce da solo e quella del granello di senape.
«Venuta la sera», Gesù decide di passare «all’altra riva»: lui e i suoi discepoli quindi – «congedata la folla» – partono dalle rive del Lago di Galilea, in barca, diretti al «paese dei Gerasèni» (nell’attuale Giordania), come ci informa Mc 5,1. Peraltro «c’erano anche altre barche con lui».
Durante la traversata si scatena però «una grande tempesta di vento», tanto che le onde riversano acqua nella barca fino a riempirla.
In un frangente di questo tipo Gesù è «a poppa, sul cuscino» e dorme.
Ciò che lo sveglia non è il temporale, ma i suoi compagni di viaggio che disperano di sopravvivere: «Maestro, non ti importa che moriamo?».
Egli quindi comanda al vento e dice al mare «Taci, calmati!» e la tempesta si placa.
Si rivolge poi ai presenti «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
Il paradosso è che le sue parole, invece che far passare la paura, li porta – dice letteralmente il testo – ad avere «paura di grande paura», fino a domandarsi chi sia la persona che gli sta dinanzi: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Il brano – come spesso capita con il vangelo – ha vari piani interpretativi: per esempio, come tutti sappiamo, il mare – nel gergo biblico – è simbolo del male e la tempesta, con i suoi pericoli finanche mortali, è una eco di tutte quelle situazioni in cui il male pare travolgerci.
È dunque sicuramente corretto interpretare questo testo come un episodio che vuole mostrare la potenza di Gesù sulle forze del male, ribadire la sua autorità e autorevolezza su ciò che ci spaventa.
Si tratta di una sorta di invito alla fiducia in lui, che, proprio perché più forte del male e deciso a salvarci da esso, risulta affidabile.
Non dobbiamo però dimenticare che siamo nei capitoli iniziali del vangelo di Marco, quelli in cui l’evangelista sta piano piano introducendo la figura di Gesù, col proposito di rispondere alla domanda che ogni cristiano dovrebbe farsi: “Chi è Gesù?”.
Non a caso proprio a metà del suo vangelo questa domanda sarà posta da Gesù stesso ai discepoli: «Voi chi dite che io sia?» (Mc 8,29), con Pietro che risponderà «Tu sei il Cristo». Risposta cui farà eco quella – posta alla fine del vangelo – del centurione: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39).
L’episodio di oggi si iscrive dunque in un itinerario che Marco vuole far compiere al suo lettore, perché giunga a rispondere da sé alla domanda “Chi è Gesù?”.
Solo in questo modo, infatti, ciascuno potrà decidere se ritenerlo affidabile, cioè degno di fiducia, accreditato per riporvi la propria fede, oppure no.
A me sembra invece che a volte – come ho già avuto modo di dire – noi “saltiamo” questo itinerario, prendendo la scorciatoia di fare nostre semplicemente le risposte di altri (quante volte nella nostra vita abbiamo chiamato Gesù – magari nelle preghiere e nella liturgia – “Cristo” o “Figlio di Dio”? Ma sapremmo tradurre con parole nostre questi titoli?).
Un primo passo potrebbe essere quello di chiederci chi è una persona che mentre la tempesta incalza in maniera terrificante, dorme a poppa sul cuscino.