Questa domenica si celebra la festa della Trinità.
So che la parola, con quanto sottende, spaventa un po’ e mette a disagio.
Pare di trovarsi di fronte a qualcosa che – seppur sentito nominare e spiegatoci fin da quando eravamo piccoli – rimane al di là della nostra possibilità di comprensione.
Tanto che, mentre tutti conosciamo la formula “Un solo Dio in tre persone”, cosa essa poi voglia dire diventa difficile per tutti da spiegare.
Credo che una via migliore, possa essere quella di partire dal dato neotestamentario che ci testimonia il fatto che Gesù, nel suo proporsi abbia sempre chiamato in causa una relazione con Dio Padre e con lo Spirito.
Il dogma della Trinità nasce proprio dal tentativo di razionalizzare il fatto che i vangeli attestino questa triplice presenza.
Gesù non si presenta sulla scena del mondo in maniera auto-riferita, come se la sua iniziativa iniziasse e finisse con lui solo, ma la fonda nel suo rapporto con l’Abbà e con il suo (del Padre del Figlio) Spirito.
Tant’è che – come scrive Matteo – la missione degli Undici sarà quella di immergere (battezzare) le persone in una triplice relazione: «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Sarà questa unità dei tre che sarà con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Che la nostra relazione con Dio avvenga in spirito – cioè in maniera diversa dalle modalità delle nostre altre relazioni, caratterizzate da mediazioni sonore, visive, tattili, olfattive e via dicendo – è quanto abbiamo chiarito settimana scorsa, nella domenica di Pentecoste.
Oggi resta da fare memoria del fatto che questa relazione “in Spirito” – questo rapporto spirituale – è l’incontro con la storia di Gesù di Nazareth e con quella del Padre, indissolubilmente legate l’una all’altra.
Che è come dire che non ci si può relazionare a Gesù, senza contemporaneamente entrare in contatto con il Padre e che una relazione con un Dio che non abbia i tratti che ci ha rivelato di Lui Gesù non è una relazione evangelica.