Mentre settimana scorsa – nella domenica che faceva memoria dell’ascensione di Gesù – abbiamo visto come la narrazione di quell’evento sia stato il modo in cui la Chiesa nascente ha elaborato l’assenza di Gesù (o per lo meno l’assenza delle forme in cui fino a quel momento era stato presente), oggi leggiamo i testi che raccontano il dono dello Spirito santo, cioè la narrazione della ri-significazione della presenza di Dio nel mondo dopo la morte, risurrezione e ascensione di Gesù: in Spirito.
Le vicende legate alla “discesa” dello Spirito sono raccontate in maniera diversa dai vari autori neotestamentari. Anche il momento dell’effusione dello Spirito da parte di Gesù cambia a seconda dello scrittore cui facciamo riferimento.
In Giovanni, per esempio, sembra che Gesù doni lo Spirito già dalla croce, mentre Luca – negli Atti degli apostoli – consegna una scansione liturgica che fa coincidere la “discesa” dello Spirito con il giorno della festa ebraica della Pentecoste (50 giorni dopo la Pasqua ebraica), tanto che i cristiani “fanno proprie” quelle feste (Pasqua cristiana e Pentecoste cristiana), mantenendo la scansione temporale dei 50 giorni.
Ho messo per ben due volte “discesa” dello Spirito tra virgolette (e con questa fanno tre), perché anche la modalità in cui lo Spirito si rende presente (o procede come dice il Credo) non sono univoche nei vari brani (non sempre “discende”).
Tutte queste premesse per dire che forse ciò su cui dovremmo focalizzare la nostra attenzione non sono le modalità in cui gli evangelisti raccontano la Pentecoste (troppo diverse per arrivare a dire “le cose sono realmente andate così”) e nemmeno le immagini con cui Luca negli Atti degli apostoli ci racconta ciò che è avvenuto: il rumore come di un vento forte, le lingue come di fuoco, il parlare in altre lingue…
(Dico Luca negli Atti perché credo sia l’immagine più plastica che tutti abbiamo in mente quando parliamo del dono dello Spirito santo. Penso sia anche il brano a cui si siano ispirati tutti gli artisti che hanno voluto rappresentare quell’evento).
Ciò su cui dovremmo concentrarci è piuttosto il significato di quelle immagini e, più in generale, il senso di quell’evento o, meglio ancora, il senso che gli evangelisti hanno voluto trasmettere costruento la storia della Pentecoste.
Provo a spiegarmi meglio: dopo la morte di Gesù e la presa di coscienza della sua risurrezione, la prima comunità cristiana doveva elaborare la nuova situazione che si trovava a vivere. Gesù non era più fruibile in carne e ossa e anche la sua “presenza da risorto” era venuta meno.
Come dicevamo settimana scorsa, l’elaborazione di questo essere senza Gesù è avvenuta attraverso la narrazione dell’ascensione.
Si poneva però un’altra questione: qual è la nuova forma di relazione possibile con Dio, dopo la vicenda storica di Gesù?
Evidentemente per un cristiano la relazione con Dio non può più prescindere da Gesù.
Ma anche Gesù non è più direttamente fruibile.
Com’è dunque possibile relazionarsi oggi a Dio in Gesù?
La risposta della Chiesa è stata lo Spirito, che – bisogna ricordare – nel Nuovo Testamento, è chiamato sia “Spirito di Dio” che “Spirito di Gesù”: «Lo Spirito della verità che procede dal Padre […] prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Con questa frase Giovanni prova a mostrarci l’intreccio relazionale tra il Padre, il Figlio e lo Spirito, tre persone – come dice il dogma – ma un unico Dio.
Spesso per motivi pedagogici si sottolinea molto la distinzione tra i tre (chi è uno, chi è l’altro, le prerogative del terzo, ecc…), dimenticandosi che Dio è uno: lo Spirito è dunque la nuova forma di presenza di Dio, la nuova possibilità di relazione con Lui: «Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità» (Gv 4,24).
Ma poi c’era un’altra questione che la prima Chiesa doveva affrontare, ovvero: “Cosa dobbiamo fare ora?”: andare a raccontare a tutti di Gesù, proporre fino ai confini della terra la buona notizia.
Ecco allora il senso delle immagini di Luca: lo Spirito è la possibilità della relazione con Dio che ci spingerà dappertutto (il vento), che ci darà la passione per annunciare in maniera credibile il vangelo (il fuoco), che ci aiuterà a farci comprendere da tutti (il parlare in altre lingue).
In effetti… questo dovrebbe “fare” la relazione con Dio: spingere verso gli altri, farci appassionare dell’umano, renderci capaci di creare relazioni con tutti…