Quest’anno per Natale ho scelto di commentare il vangelo della messa dell’aurora.
A Natale, infatti, ci sono tre messe diverse, con tre vangeli diversi: quello della notte (che narra la nascita di Gesù secondo l’evangelista Luca), quello dell’aurora e quello del giorno (che presenta il prologo poetico del vangelo di Giovanni).
Il testo scelto ci propone la visita dei pastori, dopo l’annuncio degli angeli.
Ciò che mi ha colpito è l’atmosfera intima, raccolta, famigliare che si respira.
Non ci sono i grandi eventi storici che fanno da sfondo (per es. il censimento) o gli “effetti speciali” (come gli angeli, la stella cometa, ecc…); non ci sono nemmeno i toni poetici e teologici del Verbo fatto carne o l’inquietante presenza dei potenti dell’epoca (per es. Erode)…
Ci sono solo gli elementi essenziali del Natale: «Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» con i pastori che vanno a far loro visita.
Certo, anche tutti gli altri aspetti sono importanti (il contesto storico, l’interpretazione teologica, ecc…), ma il cuore del Natale è la nascita di un bambino.
È necessario, però, – come sempre nel vangelo – provare a immaginarsi la scena.
Se oggi ci annunciassero la nascita di un bambino, sicuramente ci immagineremmo un ospedale, dottori/esse, infermieri/e, ostetrici/che, la predominanza del colore verde (il “verde ospedale”) e del colore bianco; penseremmo a un padre che va e viene dall’ospedale agli orari prestabiliti, armato di quanto gli dicono di volta in volta di portare; nonne, nonni, il vetro da cui vedi i bimbi e le bimbe nei lettini del nido…
Per immaginare, invece, la scena della nascita di Gesù, dobbiamo immaginarci un “parto in casa”, come avveniva ancora da noi fino a qualche generazione fa. Tra l’altro – a essere più precisi – qui si tratta di un parto in casa, ma fuori casa, cioè in una stalla, in un rifugio di fortuna, in un paese che non era il loro.
Un parto in solitaria, senza troppa gente intorno.
Un neonato senza luce elettrica e termosifoni.
Eppure, nel buio e nel freddo, quella scena non ha tratti (e colori) glaciali; anzi, sprigiona calore e luce. Ci sarà stato il fuoco, l’alito degli animali, i panni, la paglia…
E l’immensa tenerezza della fragilità…
È questo l’essenziale del Natale ed è lì che mi piacerebbe potesse condurci la scena della nascita di Gesù: all’immensa tenerezza che anche noi possiamo provare per la fragilità… la nostra, quella delle altre persone, quella delle innumerevoli situazioni che portiamo nel cuore, quella della nostra epoca, della nostra storia… perché anche noi possiamo custodire tutte queste cose, meditandole nel nostro cuore, come Maria.