XV Domenica del tempo ordinario (commento)

Il vangelo di questa settimana ci presenta l’invio in missione dei Dodici: il primo esperimento di annuncio fatto dagli apostoli.

Il testo è interessante perché più che mettere in risalto l’esperienza (com’è andata, gli esiti, le difficoltà…), dà grande spazio alle indicazioni previe di Gesù.

Ciò ci permette di capire quale fosse per lui il senso di questo invio (e – dunque – di ogni invio dei suoi e delle sue), a cosa tenesse in particolare.

Pertanto, più che elencare le caratteristiche di questa missione per provare a duplicarle pedissequamente, mi pare significativo – una volta individuati i tratti fondamentali delle direttive di Gesù – provare a cogliere cosa essi ci dicano sulle intenzioni e sulle prospettive di Gesù stesso.

Innanzitutto, «prese a mandarli a due a due»: l’annuncio non è quindi – nel modo in cui lo pensa Gesù – qualcosa di individuale. Perché?

Lasciamo, per ora, aperto questo interrogativo.

In secondo luogo Gesù «dava loro potere sugli spiriti impuri»: ciò che caratterizza la missione degli apostoli è la capacità di liberare dal male, in particolare da quel tipo di male che attanaglia l’interiorità, cioè tutti quei malesseri interiori cha affliggono l’animo umano.

Nelle intenzioni di Gesù è molto chiaro, dunque, che questo invio è benefico, è portatore di un lieto annuncio di liberazione, è un vangelo, qualcosa che – quando arriva – la gente sta meglio…

Seguono poi le indicazioni pratiche: «Non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche». Indubbiamente si tratta di una sollecitazione alla sobrietà, tuttavia c’è da chiedersi: come possono sopravvivere i Dodici, a due a due, senza pane, zaino, soldi, vestiti di ricambio…

La risposta segue immediatamente: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì». Ciò che Gesù ha in mente è, dunque, la permanenza dei suoi in una casa. Li invita cioè a godere dell’ospitalità di persone che probabilmente sono a loro volta discepoli/e (o perlomeno simpatizzanti) di Gesù stesso.

Mi pare questo il tratto più significativo del vangelo di oggi, che può rispondere anche alle domande lasciate in sospeso: non devono portarsi nulla, perché qualcun altro, qualcun’altra penserà a loro, accogliendoli in casa propria, dandogli da mangiare, lavandogli i vestiti, facendogli compagnia. Da qui anche il senso dell’essere in due: la trasmissione del vangelo, per come l’ha in mente Gesù, avviene comunitariamente, nella creazione di piccole comunità familiari che possano mostrare attraverso il loro modo di relazionarsi (prima ancora che a parole) la buona notizia dell’amore.

Può essere una linea guida importante anche per la Chiesa di oggi, nella quale la riduzione numerica dei credenti rischia di far sentire le persone soverchiate dagli impegni e schiacciate da uno sforzo solipsistico di fare tutto. Ripartire dal giocarsi in piccole comunità dai tratti familiari, dove sentirsi presi/e in carico gli uni/le une dagli altri/dalle altre e mostrare la bellezza del vivere il vangelo può essere uno spunto interessante per il presente.

Certo, bisogna vincere le resistenze sedimentate da secoli di clericalismo.

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